Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 2008/48/CE – Contratti di credito ai consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive – Pagamento effettuato in base a una clausola illecita – Arricchimento ingiustificato del creditore – Prescrizione del diritto alla restituzione – Principi del diritto dell’Unione – Principio di effettività – Articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 – Informazioni da inserire nel contratto di credito – Soppressione di taluni requisiti nazionali sulla base della giurisprudenza della Corte – Interpretazione della vecchia versione della normativa nazionale conformemente a tale giurisprudenza – Effetti nel tempo
A.
Se l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: l’«articolo 47 della Carta»), e implicitamente il diritto del consumatore ad un ricorso giurisdizionale effettivo, debba essere interpretato nel senso che è ad esso contraria la disciplina normativa – di cui all’articolo 107, paragrafo 2, dell’Občianský zákonník [codice civile slovacco], sulla prescrizione del diritto del consumatore un periodo di prescrizione oggettiva di tre anni – ai sensi della quale il diritto del consumatore alla restituzione di una prestazione derivante da una clausola contrattuale abusiva si prescrive anche nel caso in cui il consumatore stesso non sia in grado di vagliare la clausola contrattuale abusiva e tale prescrizione decorre anche nella situazione in cui il consumatore non era a conoscenza del carattere abusivo della clausola contrattuale.
Ove la disciplina normativa della prescrizione del diritto del consumatore in un periodo oggettivo di tre anni, malgrado la mancanza di consapevolezza del consumatore, sia compatibile con l’articolo 47 della Carta e con il principio di effettività, il giudice del rinvio chiede allora in tal caso:
se sia contraria all’articolo 47 della Carta e al principio di effettività una prassi nazionale siffatta, in base alla quale ricade sul consumatore l’onore della prova di dimostrare in giudizio che le persone che agiscono per il creditore erano a conoscenza del fatto che il creditore viola i diritti del consumatore, nella presente causa la conoscenza del fatto che, non indicando il tasso annuo effettivo globale (TAEG) preciso, il creditore viola una norma di legge, nonché dimostrare la conoscenza del fatto che, in tal caso, il prestito è senza interessi e che il creditore, incassando gli interessi, ha conseguito un arricchimento senza causa.
In caso di risposta negativa al quesito di cui all’articolo A., punto II., relativamente dunque a quali persone, tra gli amministratori, i soci o i rappresentanti commerciali del creditore, il consumatore debba dimostrare la conoscenza di cui al quesito indicato nell’articolo A., punto II.
In caso di risposta negativa al quesito di cui all’articolo A. II., quale grado di conoscenza è sufficiente per raggiungere lo scopo, ossia la dimostrazione del dolo del fornitore di violare la normativa in questione sul mercato finanziario.
B.
1) Se gli effetti delle direttive e la pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea al riguardo, quale Rasmussen, C 441/14, EU:C:2016:278; Pfeiffer, da C 397/01 a C 403/01, EU:C:2004:584, punti 113 e 114; Kücükdeveci, C 555/07, EU:C:2010:21, punto 48; Impact, C 268/06, EU:C:2008:223, punto 100; Dominguez, C 282/10, punti 25 e 27, e Association de médiation sociale, C 176/12, EU:C:2014:2, punto 38, ostino ad una prassi nazionale siffatta, in base alla quale il giudice nazionale è giunto alla conclusione circa l’interpretazione conforme al diritto dell’UE senza impiegare metodi interpretativi e senza una debita motivazione.
2) Nel caso in cui, dopo l’applicazione di metodi interpretativi, quali in particolare l’interpretazione teleologica, l’interpretazione autentica, l’interpretazione storica, l’interpretazione sistematica, l’interpretazione logica (il metodo a contrario, il metodo della reductio ad absurdum) e dopo l’applicazione dell’ordinamento giuridico nazionale nel suo complesso, al fine di conseguire lo scopo di cui all’articolo 10, paragrafo 2, lettere h) e i), della direttiva 2008/48 1 (in prosieguo: la «Direttiva»), il giudice giunga alla conclusione che l’interpretazione conforme al diritto dell’UE dirige verso una situazione contra legem, se, in tal caso, sia possibile – facendo ad esempio un raffronto con i rapporti in caso di discriminazione o tutela dei dipendenti – riconoscere un effetto diretto alla summenzionata disposizione della direttiva, a fini di tutela degli imprenditori nei confronti dei consumatori nei rapporti di credito, e disapplicare la disposizione di legge non conforme al diritto dell’UE.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
- Il principio di effettività deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale in applicazione della quale un’azione proposta da un consumatore ai fini della restituzione di somme indebitamente versate nell’ambito dell’esecuzione di un contratto di credito, sul fondamento di clausole abusive ai sensi della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, o di clausole contrarie ai requisiti di cui alla direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio, è soggetta a un termine di prescrizione di tre anni che decorre dal giorno in cui l’arricchimento ingiustificato ha avuto luogo.
- L’articolo 10, paragrafo 2, e l’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, come interpretati dalla sentenza del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia (C 42/15, EU:C:2016:842), sono applicabili a un contratto di credito che è stato stipulato prima della pronuncia di tale sentenza e prima di una modifica della normativa nazionale operata al fine di conformarsi all’interpretazione adottata nella suddetta sentenza.