CONSUMAZIONE DEL REATO DI USURA
In primis, nella motivazione della sentenza della Cass. Pen. Sez. II del 28/06/2011 n. 33331 si riassumono i principi di diritto della giurisprudenza di legittimità con riferimento al momento di CONSUMAZIONE del reato di USURA che “… (…) … si configura come reato a schema duplice e, quindi, si perfeziona o con la sola accettazione della promessa degli interessi o degli altri vantaggi usurari, non seguita dalla effettiva dazione degli stessi, ovvero, quando questa segua, con l’integrale adempimento dell’obbligazione usuraria (Sez. F, Sentenza n. 32362 del 19/08/2010, Scuto, Rv. 248142); il reato di usura rientra nel novero dei reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata perché i pagamenti effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto usurario compongono il fatto lesivo penalmente rilevante, di cui segnano il momento consumativo sostanziale, e non sono qualificabili come post factum non punibile dell’illecita pattuizione (Sez. 2, n. 33871 del 02/07/2010, Dodi, Rv. 248132); il delitto di usura si configura come un reato a schema duplice, costituito da due fattispecie – destinate strutturalmente l’una ad assorbire l’altra con l’esecuzione della pattuizione usuraria – aventi in comune l’induzione del soggetto passivo alla pattuizione di interessi od altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, delle quali l’una è caratterizzata dal conseguimento del profitto illecito e l’altra dalla sola accettazione del sinallagma ad esso preordinato. Ne consegue che nella prima il verificarsi dell’evento lesivo del patrimonio altrui si atteggia non già ad effetto del reato, più o meno esteso nel tempo in relazione all’eventuale rateizzazione del debito, bensì ad elemento costitutivo dell’illecito il quale, nel caso di integrale adempimento dell’obbligazione usuraria, si consuma con il pagamento del debito, mentre nella seconda, che si verifica quando la promessa del corrispettivo, in tutto o in parte, non viene mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione dell’obbligazione rimasta inadempiuta. Ne deriva, in tema di PRESCRIZIONE, che il relativo termine decorre dalla data in cui si è verificato l’ultimo pagamento degli interessi usurari. (Sez. 2, n. 38812 del 01/10/2008, Barreca, Rv. 241452); in tema di usura, quando tra le stesse persone le dazioni di denaro successive alla scadenza delle precedenti non costituiscono l’esecuzione della iniziale promessa, ma del rinnovo del patto usurario con la rifissazione del capitale in diverso importo e dei conseguenti interessi, trattandosi della conclusione di patti successivi, anche se occasionalmente promananti dalla scadenza dei precedenti, si è in presenza di un reato continuato di usura (Sez. 6, n. 1601 del 27/04/1998, Leoni, Rv. 213410; Sez. 2, n. 5633 del 18/02/1988, Mascioli, Rv. 178350).” Inoltre, sempre con riferimento al momento di CONSUMAZIONE, le motivazioni della sentenza della Cass. Pen. Sez. II del 27/10/2015 n. 45642hanno stabilito che “sebbene il reato di usura possa ritenersi consumato anche con la sola pattuizione degli interessi oltre soglia, purtuttavia, per integrarsi il “profitto” è necessario il conseguimento di un profitto patrimoniale da parte dell’autore del fatto. In tal senso corretto è il richiamo all’assunto di questa Corte Suprema, condiviso anche dall’odierno Collegio, secondo il quale “in tema di usura, il profitto confiscabile ai sensi dell’art. 644 c.p., u.c., identificandosi secondo la generale nozione di profitto del reato nell’effettivo arricchimento patrimoniale già conseguito, ed in rapporto di immediata e diretta derivazione causale dalla condotta illecita concretamente contestata, coincide con gli interessi usurari concretamente corrisposti…” (Cass. Sez. 6, sent. n. 45090 del 02/10/2014, dep. 30/10/2014, Rv. 260665)”. Conseguentemente, dato che ex art. 644-ter “La prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale” [1] e in considerazione che dal 08/12/2005 il vigente art. 157, comma 1 e 2, c.p. prevede che “1. La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria. 2. Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell’aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad EFFETTO SPECIALE, nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante” [2], la CONSUMAZIONE del delitto di USURA nella forma “PRESUNTA” ex art. 644, comma 3, primo periodo, c.p. o nella forma in “CONCRETO” ex art. 644, comma 3, secondo periodo, c.p. si prescrive ordinariamente in 10 anni perché dal 08/12/2005 il vigente art. 644, comma 1, c.p. stabilisce che “Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000”. Ugualmente, la CONSUMAZIONE del delitto di USURA si prescrive ordinariamente fino al 07/12/2005 in 10 anni se non vi sono aggravanti o attenuanti [3]. Dato che però sussiste per i FINANZIAMENTI RATEALI l’aggravante ad EFFETTO SPECIALE di cui all’art. 644, comma 5, n. 1, c.p. che stabilisce “Le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un terzo alla metà: 1) se il colpevole ha agito nell’esercizio di una ATTIVITÀ PROFESSIONALE, BANCARIA o di INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA MOBILIARE”, la CONSUMAZIONE del delitto di USURA si prescrive dal 08/12/2005 in 15 anni. Identicamente, per i contratti di prestito rateale conclusi fino al 07/12/2005, la prescrizione con l’aggravante ad EFFETTO SPECIALE di cui all’art. 644, comma 5, n. 1, c.p. è di 15 anni. Quanto al dies a quo della prescrizione, nell’ipotesi di RIMBORSO COMPLETO, decorre dalla data di pagamento effettivo dell’ULTIMA RATA prevista dal contratto di finanziamento rateale originario, nel caso di ESTINZIONE ANTICIPATA, di SURROGAZIONE e di RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO DEL FINANZIATO, decorre dalla data di pagamento effettivo del DEBITO RESIDUO conseguente all’applicazione del PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO e, nell’eventualità di RINEGOZIAZIONE CONTRATTUALE o EXTRACONTRATTUALE effettuata nel REGIME ANATOCISTICO con utilizzo del DEBITO RESIDUO conseguente all’applicazione del PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO, decorre dalla data di pagamento effettivo dell’ULTIMA RATA prevista dal contratto di finanziamento rateale rinegoziato RIMBORSATO INTERAMENTE. Ancora, in considerazione che la Cass. Pen. Sez. II del 23/11/2011 n. 46669 nelle sue motivazioni ha stabilito che “… (…) … una volta accertata la sussistenza del fatto reato sotto il PROFILO OGGETTIVO da parte degli istituto di credito, trattandosi comunque di illecito avente rilevanza civilistica, non rileva, ai FINI RISARCITORI, che non sia stato accertato il RESPONSABILE PENALE della condotta illecita, in quanto l’AZIONE RISARCITORIA CIVILE ben potrà essere espletata nei confronti degli istituti interessati che rispondono, comunque, ex art. 1118 e 1228 c.c., del fatto dei propri dipendenti. Il rilievo della personalità dell’attività bancaria sbiadisce mentre emerge il ruolo preponderante svolto dalla corretta PROCEDURALIZZAZIONE di un’attività collettiva, comunque imputabile all’istituto. Su questa base la responsabilità della banca sussiste per il solo fatto che il danno ingiusto si è verificato per una condotta comunque alla stessa imputabile, dovendosi limitare l’apprezzamento della CONDOTTA DOLOSA o COLPOSA (poco importa tale distinzione ai fini civilistici), alla comparazione tra standards normativi – come nella fattispecie in cui viene in rilievo la violazione dell’art. 644 c.p., comma 4, – situazione concreta, idonea a far ricadere sulla banca anche il rischio dei c.d. “DANNI ANONIMI”, cioè di cui non sia stato individuato il responsabile”, dato che la sentenza della Cassazione Civile dello 06/02/2004 n. 2301 ha decretato che “il beneficio del pagamento rateale è solo una modalità prevista per favorire il mutuatario attraverso l’assolvimento ripartito nel tempo della propria obbligazione, ma non consegue l’effetto di frazionare il debito in tante autonome obbligazioni” e, quindi, “il debito non può considerarsi scaduto prima della scadenza dell’ultima rata” e, visto che, la sentenza della Cassazione Civile del 30/08/2011 n. 17798 ha sancito che “nel contratto di mutuo la prescrizione del diritto al rimborso della somma mutuata inizia a decorrere dalla scadenza dell’ultima rata, atteso che il pagamento dei ratei configura un’obbligazione unica ed il relativo debito non può considerarsi scaduto prima della scadenza dell’ultima rata”, l’azione di ripetizione dell’an debeatur del solo reato-fine di USURA si prescrive ex art. 2946, c.c. in 10 anni con dies a quo dalle date sopra precisate in quanto trattasi di un’azione di ripetizione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. [4]. Inoltre, la sentenza della Cassazione Civile del 17/08/2016 n. 17150 ha sancito nella sua motivazione per i contratti conclusi precedentemente all’entrata in vigore della Legge del 7/03/1996 n. 108 che “In tema di INTERESSI USURARI, le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano la misura degli interessi in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell’usura (introdotte, rispettivamente, con la L. 17 febbraio 1992, n. 154, art. 4, poi trasfuso nel D.Lgs. 1 settembre 1983, n. 385, art. 117, e con la L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 4 [5]), pur non essendo retroattive, in relazione ai contratti conclusi prima della loro entrata in vigore, comportano la inefficacia ex nunc delle clausole dei contratti stessi, sulla base del semplice rilievo – operabile anche d’ufficio dal giudice – che il rapporto giuridico non si sia esaurito prima ancora dell’entrata in vigore di tali norme e che il credito della banca si sia anch’esso cristallizzato precedentemente” aderendo al principio di diritto che stabilisce che “relativamente ad un rapporto contrattuale di durata, l’intervento nel corso di essa, di una nuova disposizione di legge diretta a porre, rispetto al possibile contenuto del regolamento contrattuale, una nuova norma imperativa condizionante l’autonomia contrattuale delle parti nel regolamento del contratto, in assenza di una norma transitoria che preveda l’ultrattività della previgente disciplina normativa non contenente la norma imperativa nuova, comporta che la contrarietà a quest’ultima del regolamento contrattuale non consente più alla clausola di operare, nel senso di giustificare effetti del regolamento contrattuale che non si siano già prodotti, in quanto, ai sensi dell’art. 1339 c.c., il contratto, per quanto concerne la sua efficacia normativa successiva all’entrata in vigore della norma nuova, deve ritenersi assoggettato all’efficacia della clausola imperativa da detta norma imposta, la quale sostituisce o integra per l’avvenire (cioè per la residua durata del contratto) la clausola difforme, relativamente agli effetti che il contratto dovrà produrre e non ha ancora prodotto (Sez. 3, Sentenza n. 1689 del 2006)”.
COMPETENZA TERRITORIALE DEL REATO-FINE DI USURA
In merito alla COMPETENZA TERRITORIALE del reato-mezzo di TRUFFA, nel Paragrafo 11 della Perizia Asseverata generalizzata si è evidenziato che nel caso di un finanziamento rateale la consumazione del reato autonomo permanente di TRUFFA CONSUMATA comincia con il pagamento effettivo della 1° RATA determinata con il PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO che ingloba gli interessi CORRISPETTIVI ANATOCISTICI vietati dalla NORMATIVA CIVILE e, quindi, la COMPETENZA TERRITORIALE è del luogo dove avviene questo 1° RIMBORSO truffaldino, ad esempio, nella filiale della banca dove c’è il conto corrente del finanziato in cui sono addebitate automaticamente le rate del prestito. Identicamente, per il reato autonomo di TENTATA TRUFFA deve essere utilizzata la COMPETENZA TERRITORIALE del reato autonomo permanente di TRUFFA CONSUMATA [6]. Quanto alla COMPETENZA TERRITORIALE del reato-fine di USURA, occorre riferirsi al principio di diritto consolidato che stabilisce che “in tema di usura, qualora alla promessa segua – mediante la rateizzazione degli interessi convenuti – la dazione effettiva di essi, questa non costituisce un post factum penalmente non punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segna, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell’originaria pattuizione usuraria, il MOMENTO CONSUMATIVO “SOSTANZIALE” del reato, necessariamente realizzandosi, così, una situazione non assimilabile alla categoria del reato eventualmente permanente, ma configurabile secondo il duplice e alternativo schema della fattispecie tipica del reato, che pure mantiene intatta la sua natura unitaria e istantanea, ovvero con riferimento alla struttura dei delitti cosiddetti a condotta frazionata o a consumazione prolungata” (sentenza di Cass. Pen. Sez. I del 19/10/1998 n. 11055; sentenza di Cass. Pen. Sez. II del 13/10/2005 n. 41045; sentenza di Cass. Pen. Sez. II del 10/17/2008 n. 34910). Conseguentemente, nel caso di un finanziamento rateale, la consumazione “SOSTANZIALE” comincia con il pagamento effettivo della 1° RATA determinata con il PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO che ingloba gli interessi CORRISPETTIVI ANATOCISTICI vietati dalla NORMATIVA CIVILE e, quindi, la COMPETENZA TERRITORIALE è del luogo dove avviene questo 1° RIMBORSO truffaldino e usurario, ad esempio, nella filiale della banca dove c’è il conto corrente del finanziato in cui sono addebitate automaticamente le rate del prestito. Solo laddove difetti l’elemento della riscossione dei ratei usurari deve aversi riguardo al momento e al luogo del perfezionamento dell’accordo. Ovviamente, ai fini della COMPETENZA TERRITORIALE del reato di USURA, di nessuna importanza riveste la sede legale ove operano i vertici dell’intermediario.
QUESTIONI GIURIDICHE, MATEMATICHE ED EMPIRICHE RELATIVE ALL‘USURA CONTRATTUALE CONNESSA AL TASSO CORRISPETTIVO E AL TASSO MORATORIO
Per argomentare le questioni giuridiche, matematiche ed empiriche relative all’USURA CONTRATTUALE connessa al TASSO CORRISPETTIVO e al TASSO MORATORIO, si utilizzano i principi di diritto espressi dalla sentenza della Cassazione Civile, Sezione Unite, del 18/09/2020 n. 19597 evidenziati nell’articolo del nostro sito internet a cui si rinvia.
Quanto all’an debeatur del solo reato-fine di USURA CONTRATTUALE, il rapporto tra l’art. 644, c.p. e l’art. 1815, comma 2, c.c. (l’attuale formulazione del comma “… (…) … non sono dovuti interessi” è stata introdotta dall’art. 4 della Legge 07/03/1996 n. 108 che ha sostituito la versione precedente che prevedeva “… (…) … sono dovuti solo nella misura legale”) concerne la convergenza tra le norme di diritto privato che regolano la materia contrattuale e le norme incriminatrici che prevedono fattispecie in cui un elemento costitutivo è rappresentato dal contratto. Secondo la teoria generale del diritto, tra NORMA PENALE e NORMA CIVILE è riscontrabile il fenomeno del concorso reale di norme che possono essere in rapporto di specialità reciproca. Dato che sussiste autonomia tra DIRITTO CIVILE e DIRITTO PENALE, nell’eventualità che una norma di diritto privato ha nella descrizione della fattispecie un elemento previsto dalla norma incriminatrice, occorre preliminarmente verificare il significato attribuito al concetto penalistico e, successivamente, esaminare se la stessa nozione richiamata nella norma privatistica ha la stessa accezione oppure deve essere modulata in senso funzionale rispetto alle finalità perseguite dalla norma penale ampliando o restringendo l’ambito applicativo. L’attuale art. 1815, comma 2, prima parte, c.c. nel prevedere che “Se sono convenuti interessi usurari, … (…) …” richiama l’attuale art. 644, comma 1, c.p. che stabilisce che “Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000” mentre l’art. 1815, comma 2, seconda parte, c.c. che sancisce che “… (…) … la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” richiama l’attuale art. 644, comma 4, c.p. che decreta che “Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle COMMISSIONI, REMUNERAZIONI a qualsiasi titolo e delle SPESE, escluse quelle per IMPOSTE e TASSE, collegate alla erogazione del credito”. Dato che la previsione normativa di una SANZIONE presuppone necessariamente la valutazione dell’elemento psicologico con il quale è compiuto il comportamento contrario alla legge, la formula sintetica civilistica “Se sono convenuti interessi usurari” è indiscutibilmente sovrapponibile alla fattispecie delineata dall’attuale art. 644, comma 1, c.p. e, precisamente, richiama sia l’ELEMENTO OGGETTIVO rappresentato dalla pattuizione usuraria sia l’ELEMENTO SOGGETTIVO costituito dalla consapevolezza e volontà della natura usuraria del tasso di interesse stabilito con il contratto. In altre parole, l’art. 1815, comma 2, prima parte, c.c. prevede la stessa fattispecie sanzionata dall’art. 644, comma 1, c.p. e, quindi, entrambe le norme proteggono, contestualmente, interessi di natura generale e particolare, cioè il legislatore sanziona la stipula di un contratto che prevede il pagamento di una somma di “interessi usurari” che incide negativamente sia sul regolare funzionamento del mercato del credito perché idonea a determinare un aumento esponenziale del debito sia sulla libertà di autodeterminazione negoziale e sull’integrità del patrimonio del singolo finanziato. Viste queste premesse, occorre ora verificare se il concetto civilistico “… (…) … la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” deve essere ampliato in senso funzionale per rispettare le finalità perseguite dalla norma penale che stabilisce che“per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle COMMISSIONI, REMUNERAZIONI a qualsiasi titolo e delle SPESE, escluse quelle per IMPOSTE e TASSE, collegate alla erogazione del credito”. In primis, da un punto di vista letterale, l’espressione penalistica “tasso di interesse usurario” non è precisa dal punto di vista tecnico in quanto non si tratta di un tasso di “interesse”, ma di una percentuale che esprime il COSTO TOTALE DEL CREDITO che la Banca d’Italia ha definito letteralmente TEG in tutte le “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura” in quanto acronimo del tasso effettivo globale applicato ad ogni singolo rapporto. Pertanto, la terminologia “tasso di interesse usurario” dell’art. 644, comma 4, c.p. non è stata interpretata letteralmente dall’Istituto di Vigilanza sulla rilevanza esclusiva degli INTERESSI perché la disposizione è chiara nell’indicare che rilevano anche tutte le ALTRE VOCI di COSTO fra cui quelle espressamente elencate nella disposizione e, quindi, la Banca d’Italia ha dato importanza al principio sancito dal legislatore dell’ONNICOMPRENSIVITÀ [7] dell’interesse che mira ad evitare l’aggiramento della norma attraverso l’imputazione di somme a COMMISSIONI, a REMUNERAZIONI a qualsiasi titolo e a SPESE varie anziché al CAPITALE e agli INTERESSI. Occorre tuttavia rilevare che l’Istituto di Vigilanza considera nel calcolo del TEG solo i COSTI inerenti alla FASE FISIOLOGICA del negozio giuridico connessi agli INTERESSI CORRISPETTIVI e non “gli INTERESSI DI MORA e gli ONERI ASSIMILABILI contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo” che sono in tutte le “Istruzioni” espressamente esclusi dal conteggio perché, come affermato nella Circolare della Banca d’Italia del 03/07/2013 rubricata “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura”, vi è una “assenza di una previsione legislativa che determini una SPECIFICA SOGLIA in presenza di INTERESSI MORATORI” sebbene “in ogni caso, anche gli INTERESSI DI MORA sono soggetti alla normativa ANTI-USURA”. Dato che la Legge del 07/03/1996 n. 108 non stabilisce espressamente il rinvio alla NORMATIVA SECONDARIA del compito di fissare in via autonoma l’aggregato di COSTI connessi al credito e, se non bastasse, non esiste alcuna NORMATIVA PRIMARIA successiva che abbia attribuito al Ministero dell’Economia e alla Banca d’Italia la funzione di integrazione, di specificazione o di derogazione della disciplina in materia di USURA, la verifica dell’USURARIETÀ del patto contrattuale riguarda anche gli INTERESSI MORATORI e gli ONERI ASSIMILABILI contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo come affermato da un indirizzo giurisprudenziale consolidato della Corte di Cassazione Civile le cui più note sentenze sono quelle del 09/01/2013 n. 350, del 06/03/2017 n. 5598 e del 04/10/2017 n. 23192, indirizzo giurisprudenziale confermato dalla Corte di Cassazione Civile, Sez. Unite, del 18/09/2020 n. 19597. Conseguentemente, alla luce del principio di unitarietà e di non contraddizione dell’ordinamento giuridico, l’interpretazione sistematica che rispetta le finalità perseguite dalla norma penale e coglie le connessioni concettuali esistenti fra la norma penalistica dell’art. 644, comma 4, c.p. e la norma civilistica di pari grado dell’art. 1815, comma 2, c.c. comporta che la nozione del codice civile di “… (…) … interessi usurari, … (…) …” comprende sia ogni tipo di INTERESSE sia tutte le ALTRE VOCI di COSTO e la lettera “… (…) … non sono dovuti interessi” stabilisce che l’intermediario deve restituire sia ogni tipo di INTERESSE addebitato sia tutti gli ALTRI COSTI corrisposti collegati all’erogazione del credito ad esclusione dell’IMPOSTE e TASSE. Di questo avviso è la decisione del Collegio di Coordinamento dell’ABF del 08/06/2018 n. 12830 che ha sancito il seguente principio di diritto: “Una volta verificato il superamento del tasso soglia rilevante ai fini dell’usura genetica, in virtù della corretta interpretazione del secondo comma dell’art. 1815 cod. civ. – letto in connessione con il quarto comma dell’art. 644 cod. pen. – che sancisce la nullità della clausola, restano colpiti non solo gli interessi propriamente intesi, ma tutti gli oneri e le spese inclusi nel calcolo del TEG, compresi i premi assicurativi, escluse imposte e tasse, che, pertanto, debbono essere restituiti al mutuatario”. Questa corretta interpretazione sistematica della normativa penalistica e civilistica dell’USURA ha un importante risvolto pratico sia per i finanziamenti rateali dove l’importo complessivo di ogni tipo di INTERESSE addebitato è più alto della somma totale di tutti gli ALTRI COSTI collegati all’erogazione del credito corrisposti sia, soprattutto, in quei prestiti con rimborso rateale, come ad esempio certi PRESTITI PERSONALI o alcuni FINANZIAMENTI CONTRO CESSIONE DEL QUINTO, dove l’importo complessivo di ogni tipo di INTERESSE addebitato è più basso della somma totale di tutti gli ALTRI COSTI corrisposti collegati all’erogazione del credito. Infatti, se si desse applicazione testuale dell’art. 1815, comma 2, c.c., la conseguenza del superamento del tasso soglia usura sarebbe il solo azzeramento di ogni tipo di INTERESSE addebitato con l’effetto che le ALTRE VOCI di COSTO rimarrebbero dovute e, questa soluzione, cozzerebbe contro la ratio della normativa antiusura di punire il costo eccessivo del credito qualunque siano le modalità tecniche con cui questo risultato viene raggiunto.
Ancora, l’art. 1815, comma 2, c.c. esprime un principio giuridico valido per qualsiasi obbligazione pecuniaria e, quindi, è indifferente che la sussistenza dell’USURARIETÀ c.d. “ORIGINARIA” riguardi la clausola relativa agli INTERESSI CORRISPETTIVI o la postilla relativa agli INTERESSI MORATORI oppure ENTRAMBI i codicilli. Infatti, dato che in caso di CONSUMAZIONE del delitto di USURA la relativa clausola è nulla e NESSUNA SOMMA è dovuta perchè il contratto diviene gratuito per i motivi argomentati sopra, la nullità della sola postilla relativa agli INTERESSI CORRISPETTIVI coinvolge il codicillo relativo agli INTERESSI MORATORI e la sola nullità di quest’ultima clausola coinvolge la postilla relativa agli INTERESSI CORRISPETTIVI. Pertanto, per determinare la sanzione della non debenza di ALCUNA SOMMA è indifferente che l’USURARIETÀ c.d. “ORIGINARIA” riguardi la sola FASE FISIOLOGICA del contratto o la sola FASE PATOLOGICA della convenzione e, nei FINANZIAMENTI RATEALI, sussiste l’ulteriore circostanza che la dolosa applicazione del PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO determina una RATA illecita che collega indiscutibilmente le due fasi perché il BANCARIO latu sensu utilizza tale RATA sia per incassare nella sola FASE FISIOLOGICA i truffaldini INTERESSI CORRISPETTIVI ANATOCISTICI sia per incamerare nella sola FASE PATOLOGICA gli ulteriori truffaldini INTERESSI CORRISPETTIVI “mascherati” perché calcolati con il TASSO MORATORIO e con gli ONERI ASSIMILABILI contrattualmente previsti per il caso di inadempimento.
Inoltre, occorre tenere in considerazione che ai fini dell’applicazione dell’art. 1815, comma 2, c.c. vale il principio generale che stabilisce che per la verifica dell’USURARIETÀ del contratto non può fatta la CUMULABILITÀ fra i COSTI inerenti alla FASE FISIOLOGICA del patto e i COSTI inerenti alla FASE PATOLOGICA della convenzione [8] e, in particolare, non ci può essere una SOMMATORIA fra il TASSO CORRISPETTIVO e il TASSO MORATORIO onde determinare la percentuale del TEG del FINANZIAMENTO da utilizzare ai fini dell’accertamento del supero del TSU “LEGALE”. Infatti, gli INTERESSI CORRISPETTIVI e gli INTERESSI MORATORI si configurano, per la loro stessa natura, alternativi tra loro perché in caso di INADEMPIMENTO sono dovuti dal finanziato solo quelli di MORA e non più quelli CORRISPETTIVI che, invece, operano solo nella FASE FISIOLOGICA del contratto: per questo motivo, si deve escludere in radice la possibilità della CUMULABILITÀ dei COSTI o, semplicemente, della SOMMATORIA dei TASSI. Conseguentemente, nel caso di sussistenza dell’USURARIETÀ c.d. “ORIGINARIA” del contratto di FINANZIAMENTO RATEALE sia solo di quella strettamente connessa al TASSO CORRISPETTIVO che non tiene conto dei COSTI inerenti alla FASE PATOLOGICA del negozio giuridico sia solo di quella strettamente connessa al TASSO MORATORIO che non tiene conto dei COSTI inerenti alla FASE FISIOLOGICA della convenzione sia di quella sussistente in entrambe le due verifiche necessariamente disgiunte, nell’ipotesi di RIMBORSO COMPLETO già effettuato il BANCARIO latu sensu deve restituire l’importo di tutti gli INTERESSI CORRISPETTIVI e MORATORI addebitati concretamente più la somma di tutti gli ALTRI COSTI corrisposti collegati all’erogazione del credito ad esclusione dell’IMPOSTE e TASSE e, nell’eventualità di ESTINZIONE ANTICIPATA e di SURROGAZIONE, l’intermediario deve restituire l’importo di tutti gli INTERESSI CORRISPETTIVI e MORATORI addebitati effettivamente più la somma di tutti gli ALTRI COSTI corrisposti collegati all’erogazione del credito comprensivi dell’eventuale ulteriore e distinta TRUFFA dei DEBITI RESIDUI ad esclusione dell’IMPOSTE e TASSE. Se invece il RIMBORSO COMPLETO non è stato ancora ultimato, l’importo di tutti gli INTERESSI CORRISPETTIVI e MORATORI addebitati concretamente più la somma di tutti gli ALTRI COSTI corrisposti collegati all’erogazione del credito ad esclusione dell’IMPOSTE e TASSE devono essere considerati come se fossero un’ulteriore restituzione di SOMMA EROGATA e, cioè, si deve, da una parte, qualificare tutto ciò che ha pagato il finanziato come QUOTA CAPITALE restituita e si deve, dall’altra, effettuare una somma algebrica fra SOMMA EROGATA e questo importo complessivo corrisposto a qualunque titolo (INTERESSI CORRISPETTIVI e MORATORI, COSTI, QUOTA CAPITALE): se tutto ciò che ha pagato il finanziato è maggiore della SOMMA EROGATA, il BANCARIO latu sensu deve restituire la differenza e il contratto è, di fatto, concluso; se tutto ciò che ha pagato il finanziato è minore della SOMMA EROGATA, il contratto rimane in vigore e le RATE mancanti devono essere riconteggiate nel loro importo costante dividendo il valore della differenza con il numero delle stesse. Infatti, in questo secondo caso, una volta accertata la gratuità del FINANZIAMENTO RATEALE in conseguenza dell’USURARIETÀ del contratto, lo stesso rimane in forza con tutte le altre clausole fino alla sua naturale scadenza [9].
QUALE TSU UTILIZZARE PER LA VERIFICA DELL’USURARIETÀ
Quanto alla questione di quale TSU utilizzare per la verifica dell’USURARIETÀ dato che l’art. 2, comma 4, della Legge 108/1996 è stato modificato dal D.L. del 13/05/2011 n. 70 convertito con modifiche dalla Legge del 12/07/2011 n. 106 con l’introduzione di un automatismo di calcolo del TSU più favorevole [10] per i BANCARI latu sensu, occorre evidenziare che tale cambiamento non si applica retroattivamente non essendo intervenuta una modifica della norma incriminatrice del reato di USURA bensì della NORMA EXTRAPENALE integratrice del precetto penale in quanto la variazione non ha inciso sulla struttura essenziale del reato ma ha comportato esclusivamente un mutamento del contenuto del precetto delineando la portata del comando. In questa direzione la sentenza della Cass. Pen. Sez. II del 23/11/2011 n. 46669 che nelle sue motivazioni ha stabilito che “Questa Corte, considerando che la stessa giurisprudenza di legittimità non ha un orientamento uniforme, ritiene di aderire all’orientamento che afferma l’inapplicabilità del principio previsto dall’art. 2 c.p., comma 3, in caso di successione nel tempo di NORME EXTRAPENALI integratrici del precetto penale, che non incidano sulla struttura essenziale del reato ma comportino esclusivamente una variazione del contenuto del precetto delineando la portata del comando. Il principio espresso dall’art. 2 cod. pen., comma 3, troverebbe applicazione solo nella diversa ipotesi in cui la nuova disciplina, anziché limitarsi a regolamentare diversamente i presupposti per l’applicazione della norma penale, modificando i criteri di individuazione del tasso soglia, avesse esclusa l’illiceità oggettiva della condotta. Invece la nuova disciplina non ha inteso sminuire il disvalore sociale della condotta posta in essere nelle vigenza delle normativa precedente, e quindi l’illiceità penale della stessa, essendosi limitata a modificare, ma solo per il futuro, i presupposti per l’applicazione della norma incriminatrice penale … (…) … I criteri di individuazione del tasso soglia precedente alla modifica normativa sono riconducigli a una condotta penalmente sanzionata perchè ritenuta comunque ricollegabile alla tutela del bene protetto dalla disciplina del reato di usura; la relativa normativa è caratterizzata dalla natura “formale” dei criteri di individuazione del tasso soglia, accentuando l’esigenza di valutare il disvalore con il riferimento alle condotte relative alla determinazione del tasso soglia vigente al momento del fatto, non trattandosi di una vera e propria “abrogatio criminis”. La successione di norme extrapenali determina esclusivamente una variazione del contenuto del precetto con decorrenza dalla emanazione del successivo provvedimento e, in tale ipotesi, non viene meno il disvalore penale del fatto anteriormente commesso“(cfr Sez. 3, Sentenza n. 43829 del 16/10/2007 Ud. (dep. 26/11/2007) Rv. 238262). Deve, quindi, concludersi che la modifica della normativa secondaria, avvenuta con D.L. n. 70 del 2011, poi convertito in legge, non trova applicazione retroattiva ex art. 2 c.p., comma 2, non modificandosi la norma incriminatrice, essendo il tasso soglia variabile anche con riferimento a valutazioni di carattere economico che hanno valore, ai fini della individuazione del tasso usurario, per l’arco temporale di applicazione della relativa normativa e non vengono meno a seguito della successiva modifica di tali limiti che hanno validità solo per il periodo successivo. Non ricorre infatti l’ipotesi di cui all’art. 2 cod. pen., comma 3, qualora il fatto sia punito in base al limite stabilito dalla legge, per il periodo di riferimento, oltre il quale gli interessi vanno considerati usurari, stabilito, in relazione alle operazioni in oggetto, dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4, che prevedeva che “il limite previsto dall’art. 644 c.p., comma 3, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito dal tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi del comma primo, relativamente alla categoria di operazione in cui il credito è compreso, aumentato della metà”. La modifica operata con D.L. n. 70 convertito in legge in data 7 luglio 2011, n. 106 (che all’art. 8, comma 5, lett. d) ha previsto che alla L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, comma 4, le parole “aumentato della metà”, sono sostituite dalle seguenti: “aumentato di un quarto”, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali) non determina l’automatica “espansione” della nuova legge, perchè l’applicazione di tale norma contrasterebbe con la natura del fenomeno della abrogazione, che opera “ex nunc”. La norma secondaria abrogata resta, infatti, vigente, per il periodo anteriore alla abrogazione, impedendo, per lo stesso periodo, l’applicazione della nuova normativa, in quanto sarebbe contrario al sistema considerare ampliato, ora per allora, il raggio di azione di quest’ultima norma, non differenziando la punizione dei fatti commessi sotto il vigore della legge abrogatrice da quelli commessi successivamente. La portata dell’intervento innovativo sulla determinazione dei criteri di individuazione del tasso soglia e la mancanza di norme transitorie, certamente non dovuta a disattenzione,denotano che si è voluto dare alla normativa (che ha introdotto un regime maggiormente favorevole agli istituti bancari in relazione al reato di usura) operatività con esclusivo riferimento a condotte poste in essere dopo la sua entrata in vigore, senza produrre effetti su preesistenti situazioni, regolate dalla normativa precedente.Peraltro, in base alle corrette osservazioni contenute nella memoria di parte civile, deve ragionevolmente ritenersi che, comunque, sia pure per alcuni trimestri, anche con riferimento alla nuova normativa, vi sarebbe stato lo sforamento del tasso soglia, rimanendo integro il fatto materiale, potendo, al più, sotto il profilo penale, operarsi una nuova valutazione in concreto della entità della violazione”. Conseguentemente, è priva di pregio la tesi della retroattività del cambiamento fondata sull’essenzialità a livello di struttura di reato della modifica dell’automatismo di calcolo del TSU più favorevole per i BANCARI latu sensu, essenzialità che escluderebbe la necessità di un’interpretazione autentica e che configurerebbe la variazione del D.L. del 13/05/2011 n. 70 come norma integrativa che va a connotare il precetto già di per sé riconducibile alla sfera di operatività dell’art. 2 c.p.: infatti, tale tesi non considera che per la normativa del codice penale è altresì fondamentale la CONSUMAZIONE del delitto di USURA nella forma in “CONCRETO” ex art. 644, comma 3, secondo periodo, c.p., necessarietà che si manifesta in tutta la sua importanza quando deve essere punita la condotta del BANCARIO latu sensu in relazione ai FINANZIAMENTI RATEALI dove sussiste l’aggravante SOGGETTIVA della connessione ex art. 61, numero 2, c.p. con il reato-mezzo di TRUFFA ex art. 640, comma 1, c.p..
[1] Articolo inserito nel Codice penale dall’art. 11 della Legge del 07/03/1996 n. 108.
[2] L’attuale formulazione dell’art. 157, comma 1, c.p. è stata introdotta dall’art. 6 della Legge 05/12/2005 n. 251 (in G.U. del 07/12/2005 n. 285) in vigore dal 08/12/2005 ex art. 10, comma 1, della Legge 05/12/2005 n. 251 che stabilisce che “1.La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale”.
[3] Le parole “da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000” sono state sostituite alle parole “da uno a sei anni e con la multa da euro 3.098 a euro 15.493” dall’art. 2 della Legge 05/12/2005 n. 251 (in G.U. del 07/12/2005 n. 285) in vigore dal 08/12/2005 ex art. 10, comma 1, della Legge 05/12/2005 n. 251 che stabilisce che “1.La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale”. Pertanto, fino al 07/12/2005, vale la previsione del precedente art. 157 c.p. come modificato dall’art. 125 della Legge del 24/11/1981 n. 689 che prevede che “1. La prescrizione estingue il reato: 1) in venti anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni; 2) in quindici anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a dieci anni; 3) in dieci anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a cinque anni; 4) in cinque anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione inferiore a cinque anni, o la pena della multa; 5) in tre anni, se si tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell’arresto; 6) in due anni, se si tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell’ammenda. [II]. Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, tenuto conto dell’aumento massimo di pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti. [III]. Nel caso di concorso di circostanze aggravanti e di circostanze attenuanti si applicano anche a tale effetto le disposizioni dell’articolo 69. [IV]. Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e quella pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva” e, quindi, la CONSUMAZIONE del delitto di USURA nella forma “PRESUNTA” ex art. 644, comma 3, primo periodo, c.p. o nella forma in “CONCRETO” ex art. 644, comma 3, secondo periodo, c.p. si prescrive ordinariamente fino al 07/12/2005 in 10 anni se non vi sono aggravanti o attenuanti.
[4] Ai sensi dell’art. 1422 c.c., ad avviso della migliore dottrina a giurisprudenza, non c’è alcun dubbio che l’azione promossa dal cliente verso la banca per far valere la nullità della CLAUSOLA dell’USURA sia imprescrittibile.
[5] La Legge del 7/03/1996 n. 108 all’art. 4 prevede che “1. Il secondo comma dell’art. 1815 del codice civile è sostituito dal seguente: “Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi“”.
[6] La sentenza della Cass. Pen. Sez. I del 30/05/1997 n. 3869 ha stabilito che “Il momento consumativo del delitto di truffa, anche agli effetti della COMPETENZA TERRITORIALE, è quello dell’effettivo conseguimento dell’ingiusto profitto, con correlativo danno alla persona offesa, e tale momento si verifica all’atto dell’effettiva prestazione del bene economico da parte del raggirato, con susseguente passaggio dello stesso nella sfera di disponibilità dell’agente” e la sentenza della Cass. Pen. Sez. II del 22/09/2010 n. 37855 ha decretato che “In tema di truffa contrattuale, qualora l’agente sia l’acquirente che paghi con un assegno successivamente risultato non negoziabile e la parte lesa il venditore, il reato si consuma nel momento in cui quest’ultima consegna il bene all’agente e costui paga con l’assegno non negoziabile; in tal caso la COMPETENZA TERRITORIALE è del tribunale nel cui circondario è avvenuta la consegna dell’assegno in pagamento mentre nessun rilievo svolge, a tal fine, la circostanza che la parte lesa venga a conoscenza di essere truffata in un momento ed in un luogo diverso da quello in cui ha ricevuto l’assegno”. Pertanto, la giurisprudenza consolidata di legittimità stabilisce che, ai fini della soluzione delle questioni riguardanti la COMPETENZA TERRITORIALE, occorre accertare il luogo dove si è realizzato l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato. Tale soluzione deriva, non tanto dalla qualificazione del reato de quo come reato di danno a consumazione istantanea, quanto dalla preliminare presa di posizione del Giudice di legittimità a favore della natura “economica” dei concetti di profitto e di danno nella fattispecie di cui all’art. 640 c.p., essendo proprio la natura, giuridica od economica, soggettiva od oggettiva, delle nozioni di danno e profitto del reato di TRUFFA a condizionare in radice la successiva individuazione, tanto del tempus, quanto del locus commissi delicti del delitto
[7] Quanto all’esclusione ex art. 644, comma 4, c.p. delle “IMPOSTE e TASSE”, secondo la sentenza della Cassazione Civile del 03/06/1991 n. 6232, principio di diritto confermato dalla sentenza della Cassazione Civile, Sez. Trib. del 25/02/2015 n. 3770, “Ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 29 settembre 1973, n. 601, il costo sostenuto dal mutuatario, rappresentato dalla traslazione economica dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti (nella specie, l’imposta sostitutiva sui mutui a lungo termine), deve essere qualificato non come imposta ma come parte del corrispettivo del finanziamento” e, quindi “si esaurisce in un incremento dei proventi del mutuante in misura pari alla somma che deve versare all’erario”: conseguentemente, l’IMPOSTA SOSTITUTIVA deve essere considerato un COSTO EFFETTIVO lecito da utilizzare per la verifica dell’USURARIETÀ del contratto strettamente connessa al TASSO CORRISPETTIVO che non tiene conto dei costi inerenti alla fase patologica del negozio giuridico.
[8] Spesso nei contratti di FINANZIAMENTO RATEALE sono previsti espressamente “per il caso di inadempimento di un obbligo” specifici “ONERI ASSIMILABILI” che la parte finanziata è tenuta a corrispondere oltre agli INTERESSI DI MORA per il periodo decorrente dal giorno della scadenza della rata fino a quello dell’effettivo pagamento come, ad esempio, “una COMMISSIONE del 1,50% sull’importo complessivo della rata in mora pagata con un minimo di euro 5,00 ed un massimo di euro 60 per solleciti di pagamento”.
[9] Non solo, l’USURARIETÀ c.d. “ORIGINARIA” del contrattodi FINANZIAMENTO RATEALE sia solo di quella strettamente connessa al TASSO CORRISPETTIVO che non tiene conto dei COSTI inerenti alla FASE PATOLOGICA del negozio giuridico sia solo di quella strettamente connessa al TASSO MORATORIO che non tiene conto dei COSTI inerenti alla FASE FISIOLOGICA della convenzione sia di quella sussistente in entrambe le due verifiche necessariamente disgiunte determina la sussistenza dei “gravi motivi” di cui all’art. 615 c.p.c. cui consegue la SOSPENSIONE dell’efficacia esecutiva del titolo esecutivo posto alla base del precetto.
[10] L’art. 2, comma 4, della Legge del 07/03/1996 n. 108 prevede che “Il limite previsto dal terzo comma dell’art. 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà”. L’art. 2, comma 4, della Legge del 07/03/1996 n. 108 modificato dal Decreto Legge del 11/05/2011 n. 70 (in G.U. del 13/05/11 n. 110) prevede che “Il limite previsto dal terzo comma dell’art. 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali”.
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PARAGRAFO 11 VOLUME II “Tasso corrispettivo: il reato-mezzo di Truffa aggravato ex art. 61, comma 1, n. 2, c.p. dalla connessione con il reato-fine di Usura nei contratti di finanziamento rateale. La problematica conseguenziale del reato societario di Autoriciclaggio e del reato di Estorsione”