Il REGIME COMPOSTO determina il reato di ESTORSIONE nella fase patologica

ABSTRACT

Nel rinviare all’articolo I REQUISITI E I CRITERI DI IDONEITÀ DEI BANCARI LATU SENSU PROVANO IL DOLO NEI REATI CONSEGUENTI ALL’IMPIEGO DEL SISTEMA FRANCESE, quanto ai BANCARI latu sensu degli UFFICI LEGALI degli intermediari, è indubitabile che gli stessi siano in possesso della diligenza professionale del BONUS ARGENTARIUS e, quindi, non può essere messo in discussione che abbiano la contezza che gli AMMINISTRATORI BANCARI latu sensu pongono contestualmente in essere con il CONTRATTO di finanziamento rateale il reato-mezzo di TRUFFA sia nella forma TENTATA che nella forma CONSUMATA per la previsione pattizia dell’applicazione del PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO in violazione dell’art. 821, comma 3, c.c. che proibisce l’ANATOCISMO di tipo GENETICO e la CONSUMAZIONE del reato-fine di USURA nella forma “PRESUNTA” ex art. 644, comma 3, primo periodo, c.p. o nella forma in “CONCRETO”ex art. 644, comma 3, secondo periodo, c.p. in quanto l’importo dell’ANATOCISMO PRIMARIO e SECONDARIO del TASSO CORRISPETTIVO è un COSTO EFFETTIVO illecito ex art. 644, comma 4, c.p..

Conseguentemente, in capo ai BANCARI latu sensu degli UFFICI LEGALI e degli ORGANI APICALI si delineano gli estremi del reato di ESTORSIONE ex art. 629 c.p. tutte le volte che vi è l’ingiustificato coinvolgimento del finanziato in un’AZIONE LEGALE: infatti, quest’ultima, si configura già di per sé come una MINACCIA, costituendo il processo una pena (e quindi un danno) sia in termini economici che di stress emotivo. A questo proposito, si legge nella motivazione della sentenza della Cass. Pen. Sez. II del 29/11/2012 n. 48733 che l’esercizio concreto di un’azione esecutiva o la semplice prospettazione di convenire in giudizio il soggetto passivo costituiscono “una minaccia e, dunque, una illegittima intimidazione idonea ad integrare il delitto di estorsione alle due seguenti condizioni: a) la minaccia deve essere finalizzata al conseguimento di un profitto al quale non si abbia diritto; b) l’agente dev’essere consapevole dell’illegittimità o della pretestuosità della propria condotta, anche se l’illegittima pretesa venga fatta valere in modo apparentemente legale”. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità della sentenza della Cass. Pen. Sez. IV del 16/10/1995 n. 1626, della sentenza della Cass. Pen. Sez. II del 29/09/2009 n. 41481 e della sentenza della Cass. Pen. Sez. II del 01/12/2014 n. 9931, la PRETESA USURARIA è in GENERALE di per sé penalmente e civilisticamente illecita, di guisa che anche la MINACCIA di soddisfarla mediante ricorso a mezzi astrattamente consentiti dall’ordinamento integra il delitto di ESTORSIONE perché l’usurario non può ricorrere al giudice per chiedere il soddisfacimento di un credito illecito in quanto si tratta di un diritto che non può essere tutelabile con un’azione giudiziaria in considerazione dell’illegalità della pretesa.

A maggior ragione, la MINACCIA GIUDIZIARIA ESTORSIVA di una PRETESA USURARIA che INGLOBA una PRETESA ANATOCISTICA TRUFFALDINA è certamente penalmente e civilisticamente illecita: ovviamente, anche la MINACCIA GIUDIZIARIA della sola PRETESA ANATOCISTICA TRUFFALDINA può integrare il reato di ESTORSIONE.

Ancora, quanto all’individuazione specifica del BANCARIO latu sensu degli UFFICI LEGALI che commette il delitto di ESTORSIONE, rientra sicuramente in questa categoria il soggetto che ha firmato l’atto di conferimento dell’incarico agli avvocati che agiscono in giudizio contro il finanziato.

Infine, anche i TERZI che hanno ottenuto l’incarico per recuperare il credito possono incorrere nel delitto di ESTORSIONE. A questo proposito, la massima della sentenza di Cass. Pen. Sez. II del 13/10/2005 n. 41045 stabilisce che “poiché, a seguito delle modifiche introdotte dalla l. 7 marzo 1996 n. 108, si deve ritenere che il reato di usura sia annoverabile tra i delitti a “condotta frazionata” o a “consumazione prolungata”, CONCORRE nel reato previsto dall’art. 644 c.p. solo colui il quale, ricevuto l’incarico di recuperare il CREDITO USURARIO, sia riuscito a ottenerne il pagamento; negli altri casi, l’incaricato risponde del reato di FAVOREGGIAMENTO PERSONALE o, nell’ipotesi di violenza o minaccia nei confronti del debitore, di ESTORSIONE, posto che il momento consumativo del reato di usura rimane quello originario della pattuizione” e la sentenza di Cass. Pen. Sez. II del 15/11/2017 n. 53479 stabilisce che “effettivamente colui il quale riceve l’incarico di recuperare il CREDITO USURARIO e riesce ad ottenerne il pagamento concorre nel reato punito dall’art. 644 c.p., in quanto con la sua azione volontaria fornisce un contributo causale alla verificazione dell’elemento oggettivo di quel delitto”.

I principi di diritto della sentenza di Cass. Pen. Sez. II del 13/10/2005 n. 41045 e della sentenza di Cass. Pen. Sez. II del 15/11/2017 n. 53479 possono essere estesi sia al CREDITO USURARIO/TRUFFALDINO sia al solo CREDITO TRUFFALDINO: conseguentemente, il TERZO che recupera il credito con l’effettivo pagamento ha una personale responsabilità penale concorrente nei reati di TRUFFA e di USURA con il BANCARIO latu sensu.

ARTICOLO

Nel rinviare all’articolo I REQUISITI E I CRITERI DI IDONEITÀ DEI BANCARI LATU SENSU PROVANO IL DOLO NEI REATI CONSEGUENTI ALL’IMPIEGO DEL SISTEMA FRANCESE, si allegano le sentenze di Cassazione che evidenziano il reato di ESTORSIONE collegato ai reati di TRUFFA e di USURA.

Cassazione penale sez. VI, 16/10/1995, n. 1626

MASSIMA: “Nell’ipotesi in cui il creditore ponga in essere una minaccia per ottenere il pagamento di interessi USURARI, è configurabile il delitto di ESTORSIONE e non quello di ESERCIZIO ARBITRARIO DELLE PROPRIE RAGIONI, poiché l’agente è consapevole di esercitare la minaccia per ottenere il soddisfacimento dell’ingiusto profitto derivante da una pretesa “contra ius”; egli non può avere infatti, la ragionevole opinione di far valere un diritto tutelabile con l’azione giudiziaria, che gli è negata in considerazione della illiceità della pretesa”.

Cassazione penale sez. II, 16/01/2003, n. 16618

MASSIMA: “In tema di ESTORSIONE, anche la minaccia di esercitare un diritto – come l’esercizio di un’azione giudiziaria o esecutivapuò costituire illegittima intimidazione idonea ad integrare l’elemento materiale del reato quando tale minaccia sia finalizzata al conseguimento di un profitto ulteriore, non giuridicamente tutelato … (…) …”

Cassazione penale sez. II, 13/10/2005, n. 41045

“… (…) … Aderendo allo schema giuridico dell’USURA intesa appunto quale delitto a consumazione prolungata o – come sostiene autorevole dottrina – a condotta frazionata, ne deriva che effettivamente colui il quale riceve l’incarico di recuperare il credito USURARIO e riesce ad ottenerne il pagamento concorre nel reato punito dall’art. 644 c.p., in quanto con la sua azione volontaria fornisce un contributo causale alla verificazione dell’elemento oggettivo di quel delitto. Tuttavia, ad avviso di questo Collegio, ben diversa è la situazione nell’ipotesi che colui il quale ha ricevuto l’incarico da parte dell’USURAIO di recuperare il credito non riesca a ottenerne il pagamento. In tal caso, infatti, il momento consumativo del reato di usura resta quello originario della pattuizione, anteriore alla data dell’incarico: e dunque a tale delitto non può concorrere il “mero esattore” scelto in epoca successiva. Né può parlarsi di TENTATA USURA, con riferimento alla condotta volta a ottenere il pagamento del credito, considerata la natura unitaria del reato punito dall’articolo 644 C.P, di cui si è fatto cenno, la quale preclude in ogni caso che al suo autore possano essere contestati a titolo di episodi autonomi di usura i singoli pagamenti del credito. … (…) … Si osserva, infine, con riferimento all’ipotesi alternativa prospettata dal pubblico ministero ricorrente, che l’azione posta in essere da coloro che aiutano il creditore a recuperare un credito USURARIO realizza gli estremi del delitto di FAVOREGGIAMENTO solo se il soggetto agente non usa violenza o minaccia nei confronti del debitore; se invece come nella fattispecie – viene posta in essere anche una violenza o minaccia, il reato attribuibile all’agente è quello di ESTORSIONE, nel caso concreto correttamente contestata a tutti gli indagati, ivi compresa la persona accusata di usura … (…) …”.

Cassazione penale sez. II, 14/01/2009, n. 5231

MASSIMA: “I delitti d’USURA e di ESTORSIONE concorrono ove la violenza o la minaccia, assenti al momento della stipula del patto usurario, siano in un momento successivo impiegate per ottenere il pagamento dei pattuiti interessi o degli altri vantaggi usurari. (La Corte ha precisato che sussiste per contro il solo reato di ESTORSIONE ove la violenza o la minaccia siano usate “ab initio” al fine di ottenere la dazione dei suddetti vantaggi)”.

Cassazione penale sez. II, 29/09/2009, n. 41481

MASSIMA: “Integra il delitto di ESTORSIONE, in relazione all’ingiusto profitto derivante da una pretesa penalmente e civilisticamente illecita, la minaccia posta in essere per ottenere il pagamento di un credito di natura USURARIA, quand’anche consistente nel prospettato ricorso a mezzi astrattamente consentiti dalla legge. (Nella specie ATTIVAZIONE DI GARANZIE costituite da ASSEGNI e da ISCRIZIONE IPOTECARIA)“.

Cassazione penale sez. VI, 15/02/2011, n. 18069

“… (…) … secondo un costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte, la pretesa usuraria viene considerata sempre penalmente e civilisticamente illecita, sicchè anche la minaccia di ottenere il pagamento del prestito facendo ricorso a mezzi astrattamente consentiti dall’ordinamentocome ad esempio l’attivazione di garanzie che l’autore dell’USURA si sia fatto rilasciare dalla vittimaintegra il delitto di ESTORSIONE, in quanto l’usuraio non può ricorrere al giudice per ottenere il soddisfacimento del proprio credito, nè può pensare di far valere un diritto tutelabile con un’azione giudiziaria, negatagli in considerazione dell’illiceità della pretesa (Sez. 2, 17 giugno 1986, n. 1207, Sarachella; Sez. 6, 16 ottobre 1995, n. 1626, Pulvirenti; Sez. 2, 6 febbraio 2008, n. 1208, Sartor; Sez. 2, 31 marzo 2008, n. 16658, Colucci; Sez. 2, 29 settembre 2009, n. 41481, Pierro). Nel reato di ESTORSIONE l’elemento dell’ingiusto profitto viene individuato in qualsiasi vantaggio che l’autore intenda conseguire e che non si ricolleghi ad un diritto, con la conseguenza che può essere perseguito tanto con uno strumento antigiuridico, quanto con uno apparentemente legale, ma avente uno scopo illecito … (…) …”

Cassazione penale sez. II, 29/11/2012, n. 48733

“… (…) … Come è noto, la minaccia necessaria per integrare gli estremi dell’ESTORSIONE (o della TENTATA ESTORSIONE) consiste nella prospettazione di un male futuro e ingiusto, la cui verificazione dipende dalla volontà dell’agente. Secondo la previsione normativa, la condotta minacciosa deve causare un doppio evento, ossia la coartazione della volontà della vittima e la disposizione patrimoniale. L’esercizio di un diritto, o la minaccia di esercitarlo – quali indubbiamente sono il concreto esercizio di un’azione giudiziaria o esecutiva o anche la minaccia di tali iniziative – non presentano, di per sè, i caratteri della minaccia necessaria per l’astratta configurabilità del delitto di estorsione: infatti, pur ponendo il soggetto passivo nella condizione di subire un pregiudizio dei propri interessi, le suddette condotte sono esclusivamente dirette alla legittima realizzazione di un diritto proprio dell’agente. Tuttavia, se l’esercizio del diritto o la minaccia di esercitarlo sono volte a realizzare un vantaggio ulteriore e diverso da quello spettante, il pregiudizio che, attraverso l’iniziativa giudiziaria formalmente legittima, si prospetta al soggetto passivo non si pone in un rapporto di funzionalità rispetto al soddisfacimento del proprio legittimo interesse, ma mira ad ottenere una pretesa ulteriore ed estranea al rapporto sottostante. Quest’ultima, poichè non trova alcuna giuridica giustificazione in quello specifico rapporto, deve considerarsi illegittimamente perseguita attraverso quel particolare strumento giudiziale utilizzato o che si minaccia di utilizzare. In questo senso si è già espressa questa Corte, avendo statuito che “in tema di ESTORSIONE, anche la minaccia di esercitare un diritto – come l’esercizio di un’azione giudiziaria o esecutiva – può costituire illegittima intimidazione idonea ad integrare l’elemento materiale del reato quando tale minaccia sia finalizzata al conseguimento di un profitto ulteriore, non giuridicamente tutelato“: Cass. 16618/2003 Rv. 224399. … (…) … Cass. 273/1970 Rv. 115339; Cass. 7380/1986 riv 173383 ha ribadito che “la minaccia idonea a configurare il delitto di ESTORSIONE può assumere forme ben diverse, come quella della prospettazione di azioni giudiziarie, che si traduce in un male ingiusto nel caso di pretestuosità della richiesta, o come quella della denunzia penale, che si rivela ingiusta quando la utilità in cui si concreta non sia dovuta e di ciò l’agente sia consapevole“. Pertanto, si può affermare che il concreto esercizio di un’azione esecutiva oppure la prospettazione di convenire in giudizio il soggetto passivo o di un’azione esecutiva costituiscano una minaccia e, dunque, una illegittima intimidazione idonea ad integrare il delitto di ESTORSIONE alle due seguenti condizioni: a) la minaccia dev’essere finalizzata al conseguimento di un profitto al quale non si abbia diritto; b) l’agente dev’essere consapevole dell’illegittimità o della pretestuosità della propria condotta, anche se l’illegittima pretesa venga fatta valere in modo apparentemente legale. … (…) …”.

Cassazione penale sez. II, 01/02/2014, n. 9931

MASSIMA: È configurabile il delitto di ESTORSIONE e non quello di ESERCIZIO ARBITRARIO DELLE PROPRIE RAGIONI nei confronti del creditore che eserciti una minaccia per ottenere il pagamento di interessi USURARI, poiché egli è consapevole di porre in essere una condotta per ottenere il soddisfacimento di un profitto ingiusto, in quanto derivante da una pretesa “contra ius””.

Cassazione penale sez. II, 15/11/2017, n. 53479

“… (…) … Aderendo allo schema giuridico dell’USURA intesa appunto quale delitto a consumazione prolungata o – come sostiene autorevole dottrina – a condotta frazionata, ne deriva che effettivamente colui il quale riceve l’incarico di recuperare il credito USURARIO e riesce ad ottenerne il pagamento concorre nel reato punito dall’art. 644 c.p., in quanto con la sua azione volontaria fornisce un contributo causale alla verificazione dell’elemento oggettivo di quel delitto … (…) …”.

VOLUME I sul portale www.youcanprint.it

In questo VOLUME I di 704 pagine si spiegano i PRINCIPI DI MATEMATICA FINANZIARIA BASILARI PER COMPRENDERE I FINANZIAMENTI RATEALI.
In particolare, vi è tutta la costruzione matematica INEDITA di DEVIS ABRIANI sulle diverse ponderazioni dei periodi rateali (Anno Civile Corretto (365/365 e 366/366), Anno Civile Non Corretto (365/365 e 366/365), Anno Misto (365/360 e 366/360), Anno Commerciale (360/360) del Montante in Semplice e Composto, della rata costante posticipata (Francese) in Semplice (in t_0 e in t_m) e Composto (in t_0 e in t_m) e della rata variabile posticipata (Italiano) in Semplice (in t_0 e in t_m) e Composto (in t_0 e in t_m)

VOLUME II sul portale www.youcanprint.it 

In questo VOLUME II di 882 pagine si parla delle CONSEGUENZE GIURIDICHE PER IL MANCATO UTILIZZO DEL REGIME SEMPLICE DEGLI INTERESSI NEI FINANZIAMENTI RATEALI.
In particolare, si illustra: a) l’obbligo giuridico dell’uso della ponderazione dei periodi rateali dell’anno civile corretto spiegata da Devis Abriani nel VOLUME 1 PRINCIPI DI MATEMATICA FINANZIARIA BASILARI PER COMPRENDERE I FINANZIAMENTI RATEALI; b) la prova matematica/empirica che il Regime Composto (“Francese” o “Italiano”) è illecito ex art. 821 c.c.; c) la prova matematica/empirica che unicamente il Regime Semplice con impostazione iniziale in t_0 (“Francese” o “Italiano”) rispetta ad ogni istante temporale l’art. 821 c.c.; d) la prova matematica/empirica che il Regime Semplice con impostazione finale in t_m (“Francese” o “Italiano”) NON rispetta ad ogni istante temporale l’art. 821 c.c.; e) la modalità matematica/empirica corretta giuridicamente per il calcolo della Tentata Truffa e della Truffa Consumata; f) la modalità matematica/empirica corretta giuridicamente per il calcolo della Tentata Truffa Attualizzata da utilizzare per la verifica dell’Usurarietà del contratto; g) la prova matematica/empirica dell’impossibilità di determinazione dell’aliquota dell’indeterminatezza contrattuale del tasso corrispettivo se si usa il Regime Semplice con impostazione finale in t_m a causa dell’asintoto verticale; h) la prova matematica/empirica dei reati di Truffa e Autoriciclaggio di Cassa Depositi Prestiti per i finanziamenti concessi agli Enti locali. 
PARAGRAFO 11 VOLUME II “Tasso corrispettivo: il reato-mezzo di Truffa aggravato ex art. 61, comma 1, n. 2, c.p. dalla connessione con il reato-fine di Usura nei contratti di finanziamento rateale. La problematica conseguenziale del reato societario di Autoriciclaggio e del reato di Estorsione”