Sussistenza del dolo dei bancari latu sensu nel reato di usura
Quanto all’individuazione specifica del BANCARIO latu sensu che ha commesso il reato di USURA, occorre evidenziare che nella Circolare della Banca d’Italia del 17/12/2013 n. 285 nella versione riformata a settembre 2016 per il recepimento della disciplina sui contratti di CREDITO IMMOBILIARE AI CONSUMATORI si legge nell’“Allegato A – Disposizioni speciali relative a particolari categorie di rischio” che “Le deleghe in materia di EROGAZIONE DEL CREDITO devono risultare da apposita delibera dell’organo con funzione di supervisione strategica e devono essere commisurate alle caratteristiche dimensionali della banca. Nel caso di fissazione di limiti “a cascata” (quando, cioè, il delegato delega a sua volta entro i limiti a lui attribuiti), la griglia dei limiti risultanti deve essere documentata. Il SOGGETTO DELEGANTE deve inoltre essere periodicamente informato sull’esercizio delle deleghe, al fine di poter effettuare le necessarie verifiche” e si stabilisce nella “Sezione IV – Esternalizzazione di funzioni aziendali (outsourcing) al di fuori del gruppo bancario” che “La banca, attraverso il ricorso all’esternalizzazione, non può delegare le proprie responsabilità, né la responsabilità degli organi aziendali. In linea con questo principio, a titolo esemplificativo, non è ammessa l’esternalizzazione di attività che rientrano tra i compiti degli organi aziendali (cfr. Sezione II) o che riguardano aspetti nevralgici del processo di EROGAZIONE DEL CREDITO (ad es., il processo di valutazione del merito di credito e di monitoraggio delle relazioni creditizie)”. Inoltre, a seguito della riforma societaria operata con la Legge del 03/10/2001 n. 366 e con il D.Lgs. del 17/01/2003 n. 6 è possibile da parte dello STATUTO determinare la struttura della società in base al c.d. modello dualistico e, quindi, vi è la possibilità che la carta societaria abbia previsto un’attribuzione diretta ad altri organismi, quali ad esempio i COMITATI DIRETTIVI o i COMITATI CENTRALI, di compiti di gestione sottratti alla sfera di ingerenza del CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE e del suo PRESIDENTE senza che l’organo apicale possa determinare autonomamente una DELEGA DI FUNZIONI. Inoltre, gli istituti di rilievo nazionale sono generalmente strutturati in base a una complessa organizzazione amministrativa e funzionale che prevede una delineata suddivisione di compiti che comporta che le funzioni di rappresentanza generale sono di solito in capo al PRESIDENTE degli organi di vertice, le funzioni di governance strategica sono attribuite al CONSIGLIO D’AMMINISTRAZIONE e quelle di controllo sono conferite al COLLEGIO DEI REVISORI. Questi intermediari di grosse dimensioni hanno poi spesso strutturato gli organi centrali in un sottosistema che, a sua volta, comprende la DIREZIONE GENERALE, le DIREZIONI CENTRALI e varie DIREZIONI PERIFERICHE ogni una con precisi compiti gestionali e operativi, come, ad esempio, solitamente avviene per la precisa incombenza dell’erogazione del credito che comporta la determinazione delle relative condizioni contrattuali e dei tassi d’interesse. Ovviamente, in questi intermediari con dimensioni spesso internazionali è quasi sempre lo STATUTO che stabilisce direttamente i poteri conferiti ai vari organi societari limitando la possibilità che il CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE possa esercitare autonomamente una DELEGA DI FUNZIONI. In linea di massima, comunque, si può tenere conto del MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO ex D.Lgs. del 08/06/2001 n. 231 (in G.U. del 19/06/01 n. 140) anche se nell’ambito dei reati presupposto è escluso il delitto di USURA ex art. 644 c.p. e, quindi, non è certa per questo reato la sussistenza di una DELEGA DI POTERI a specifici BANCARI latu sensu [1].
Quanto all’individuazione dei SOGGETTI in posizione apicale che concorrono nel reato di USURA ex art. 644 c.p. commesso nei confronti dei finanziati, appartengono sicuramente a questa categoria gli AMMINISTRATORI BANCARI latu sensu, sia quelli dotati di deleghe sia quelli non dotati di deleghe come stabilito dalla sentenza della Cass. Civ. del 26/02/2019 n. 5606 [2], che hanno una loro personale responsabilità penale concorrente ai sensi combinato disposto dell’art. 40, comma 2, c.p. che prevede che “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo” e dell’art. 2392 c.c. che stabilisce che “Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Essi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori. In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell’articolo 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale”.
In generale, per rispondere del mancato impedimento di un evento ex art. 40, comma 2, c.p. è necessario “l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo: detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto, e quindi anche dal diritto privato” (sentenza della Cass. Pen. Sez. IV del 23/09/2009 n. 39959) anche perché “Il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie, sancito dall’art. 2381 c.c., commi 3 e 6 e art. 2392 c.c., non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacché anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business bancario e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi, non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega” (sentenza della Cass. Civ. Sez. II del 18/04/2018 n. 9546 [3]).
In particolare, nella sentenza della Cass. Pen. Sez. II del 23/11/2011 n. 46669 si ritrovano i principi di diritto che consentono di delineare per il reato-fine di USURA ex art. 644 la personale responsabilità penale concorrente degli AMMINISTRATORI BANCARI latu sensu tutte le volte che gli stessi non vigilano e non impediscono che le PROCEDURE INTERNE consentano che nei finanziamenti rateali erogati sia utilizzato il PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO in violazione dell’art. 821, comma 3, c.c., norma imperativa mai derogata che proibisce l’ANATOCISMO di tipo GENETICO. Si legge nella motivazione della sentenza che “… (…) … E’ attribuibile ai PRESIDENTI degli istituti bancari e dei relativi CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONE una c.d. “POSIZIONE DI GARANZIA“, in quanto la formale rappresentanza dell’istituto bancario, se non accompagnata da poteri di decisione o gestione operativa, appare totalmente priva di significato nell’ottica della tutela di interessi che ricevono protezione penale. Si deve quindi affermare che i presidenti delle banche, quali persone fisiche, siano garanti agli effetti penali, cioè tenuti a rendere operativa una posizione di garanzia, che, in ultima analisi, fa capo all’ente, centro d’imputazione dell’attività di erogazione del credito nell’ambito della quale ben può essere ravvisata la violazione del precetto penale anche in capo ai predetti organi. Tale rilievo è valido anche nel caso in cui non risultino attribuite, dalla legge o dagli statuti dei singoli enti, specifiche attribuzioni ad altro organo, senza possibilità di interferenze da parte di altri organismi, ancorché posti in posizione apicale rispetto all’organo subordinato competente per determinate materie, in un’ottica MONISTICA, in cui anche la gestione operativa dell’istituto spetta al consiglio di amministrazione. Anche nel caso in cui, in base a norme statutarie, l’azienda sia stata suddivisa in DISTINTI SETTORI E SERVIZI, così come avviene solitamente nelle banche di notevoli dimensioni con l’istituzione di una direzione generale a cui vengono affidati specifici compiti, e a cui siano stati preposti soggetti qualificati idonei, con poteri e autonomia per la gestione di determinati affari, può ravvisarsi una responsabilità penale nei confronti del PRESIDENTE del consiglio di amministrazione o dei SUOI COMPONENTI, in virtù dei poteri di indirizzo e coordinamento e, più in generale “di garanzia”, a tutela dell’osservanza delle norme di legge. … (…) … E’ compito degli ORGANI APICALI vigilare e impedire che venga superato il tasso soglia, mentre l’applicazione delle relative condizioni può essere demandata agli ORGANI GESTIONALI, non potendo essere del tutto rigida, essendo connessa all’andamento dei mercati, mentre raramente è personalizzata in relazione alle caratteristiche ed esigenze del singolo cliente. In tal caso è ravvisabile in capo al PRESIDENTE o al CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE un potere di controllo gestionale sull’attività della DIREZIONE GENERALE o CENTRALE COMMERCIALE con specifico riferimento alla determinazione dei tassi di interesse, anche se a termini statutari tali i organismi sottordinati abbiano autonomia gestionale operativa, con conseguente responsabilità penale concorrente degli ORGANI APICALI ove venga superato il tasso soglia degli interessi in ordine alla erogazione del credito alla clientela. …(…)… In mancanza di specifiche attribuzioni agli ORGANI DI VERTICE delle banche, nessuna DELEGA era necessaria per attribuire alla DIREZIONE GENERALE o CENTRALE della stessa la competenza a determinare le condizioni da applicare alla clientela e, quindi, anche i relativi tassi soglia, trattandosi di competenze autonomamente attribuite dallo statuto o da altre norme regolamentari a tali organi sottordinati. Tali NORME STATUTARIE, tuttavia, non esonerano, come già evidenziato, i PRESIDENTI delle Banche dal controllo gestionale generale relativo alla determinazione del tasso soglia e dalla responsabilità, sia PENALE sia CIVILE connessa al suo superamento, anche se non hanno concretamente partecipato alla determinazione dei tassi di interesse con riferimento ai singoli clienti”.
Quanto alla coscienza dell’antigiuridicità del fatto, cioè alla consapevolezza degli AMMINISTRATORI BANCARI latu sensu del disvalore penale della propria condotta nel reato-mezzo di TRUFFA ex art. 640, comma 1, c.p. e nel reato-fine di USURA ex art. 644, c.p. commesso nei confronti dei finanziati e, quindi, all’eventuale invocabilità dell’art. 5 c.p., la sentenza della Cass. Pen. Sez. II del 23/11/2011 n. 46669 ha stabilito in tema di USURA che “i PRESIDENTI dei consigli di amministrazione delle banche interessate non possono invocare l’inevitabilità dell’errore sulla legge penale (art. 5 c.p.) svolgendo attività in uno specifico settore rispetto al quale gli ORGANI DI VERTICE hanno il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente, essendo loro attribuiti, dai relativi statuti, poteri in materia di erogazione del credito, rientranti nell’ambito dei più generali poteri di indirizzo dell’impresa, sussistendo in capo agli stessi una POSIZIONE DI GARANZIA essendo gli interessi protetti dalla norma incriminatrice soggetti alla sfera d’azione e di potenziale controllo dei presidenti e legali rappresentanti dei tre istituti di credito. La specifica competenza degli imputati che connota o deve, comunque, connotare gli ORGANI DI VERTICE della banca, consente di individuare negli stessi i garanti primari della corretta osservanza delle disposizioni di legge in tema di USURA, indipendentemente dalla suddivisione dei compiti all’interno dell’istituto che non esonera i vertici dall’obbligo di vigilanza e controllo della osservanza delle disposizioni di LEGGI, segnatamente in tema di superamento del tasso soglia. … (…) … Non è scusabile, in linea di principio, da parte di un istituto di credito, l’errore riferibile al calcolo dell’ammontare degli interessi usurari trattandosi di interpretazione che, oltre ad essere nota all’ambiente bancario, non presenta in sé particolari difficoltà. Tale dovere è particolarmente rigoroso nei confronti degli ORGANI DI VERTICE della banca, essendo per costoro particolarmente accentuato il dovere di informazione sulla legislazione in materia, esistendo sempre un obbligo incombente su chi svolge attività in un determinato settore di informarsi con molta diligenza sulla normativa esistente e, nel caso di dubbio, di astenersi dal porre in essere la condotta. Invece la scusabilità dell’ignoranza e l’inevitabilità dell’errore va riconosciuta ogniqualvolta l’errore sia stato originato da un comportamento positivo degli ORGANI AMMINISTRATIVI o da un complessivo pacifico orientamento GIURISPRUDENZIALE da cui l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza della interpretazione e, conseguentemente della liceità del comportamento futuro in forza della sentenza n. 364 del 1988 della Corte Costituzionale) (cfr per tale orientamento, Sez. 4, Sentenza n. 32069 del 15/07/2010 Cc. (dep. 18/08/2010) Rv. 248339). La Consulta, con la sentenza 24 marzo 1988 n. 364 e con la successiva sentenza 22 aprile 1992 n. 185, ha attribuito rilevanza alla sola “ignoranza inevitabile” della legge penale (art. 5 c.p.). A tal fine, come già puntualizzato dalle Sezioni unite (sentenza 10 giugno 1994, Calzetta), per stabilirne i presupposti e i limiti, deve ritenersi che per il comune cittadino l’inevitabilità dell’errore va riconosciuta in tutte le occasioni in cui l’agente abbia assolto, con il criterio della normale diligenza, al cosiddetto “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Invece, per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, tale dovere è particolarmente rigoroso, incombendo su di essi, in ragione appunto della loro posizione, un obbligo di informarsi con tutta la diligenza possibile e essi rispondono dell’illecito anche alla stregua della culpa levis; in questa seconda situazione, occorre cioè, ai fini della scusabilità dell’ignoranza, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (cfr. Sezione 6, 27 giugno 2005, Pitruzzello; Sezione 6, 20 maggio 2010, Pinori ed altro). … (…) … Soltanto l’incertezza derivante da contrastanti orientamenti GIURISPRUDENZIALI, e, in particolare, della GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ, nell’interpretazione e nell’applicazione di una norma con riferimento all’epoca dei fatti, non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva d’ignoranza inevitabile della legge penale, in quanto il ragionevole dubbio sulla liceità o meno deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento, fino cioè, secondo quanto emerge dalla sentenza 364/1988 della Corte Costituzionale, all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga l’incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa, dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la CONSAPEVOLEZZA dell’illiceità (cfr. in tal senso Sez. 6, Sentenza n. 6175 del 27/03/1996 Ud. (dep. 27/05/1995) Rv. 201518. Nel caso di specie, invece, in mancanza di un orientamento GIURISPRUDENZIALE DI LEGITTIMITÀ, sia civile che penale, all’epoca, che ritenesse illecita tale prassi bancaria, sviluppatosi poi successivamente, nessuna censura di mancanza di doverosa prudenza può essere posta a carico dei Presidenti delle banche e, in base a tale duplice valutazione, non può ritenersi violato il dovere di diligenza nella ricostruzione dei criteri applicabili ai fini della individuazione del tasso soglia a carico degli organi di vertici degli istituti bancari. Devono, quindi, ritenersi mancare, stante le vicende richiamate a fondamento della buona fede dei ricorrenti, profili di colpa incompatibili con la pronuncia liberatoria. … (…) … Tuttavia, una volta accertata la sussistenza del fatto reato sotto il PROFILO OGGETTIVO da parte degli istituto di credito, trattandosi comunque di illecito avente rilevanza civilistica, non rileva, ai FINI RISARCITORI, che non sia stato accertato il RESPONSABILE PENALE della condotta illecita, in quanto l’AZIONE RISARCITORIA CIVILE ben potrà essere espletata nei confronti degli istituti interessati che rispondono, comunque, ex art. 1118 e 1228 c.c., del fatto dei propri dipendenti. Il rilievo della personalità dell’attività bancaria sbiadisce mentre emerge il ruolo preponderante svolto dalla corretta PROCEDURALIZZAZIONE di un’attività collettiva, comunque imputabile all’istituto. Su questa base la responsabilità della banca sussiste per il solo fatto che il danno ingiusto si è verificato per una condotta comunque alla stessa imputabile, dovendosi limitare l’apprezzamento della CONDOTTA DOLOSA o COLPOSA (poco importa tale distinzione ai fini civilistici), alla comparazione tra standards normativi – come nella fattispecie in cui viene in rilievo la violazione dell’art. 644 c.p., comma 4, – situazione concreta, idonea a far ricadere sulla banca anche il rischio dei c.d. “DANNI ANONIMI”, cioè di cui non sia stato individuato il responsabile”.
Conseguentemente, in merito alla personale responsabilità penale concorrente degli AMMINISTRATORI BANCARI latu sensu, sia quelli dotati di deleghe sia quelli non dotati di deleghe come stabilito dalla sentenza della Cass. Civ. del 26/02/2019 n. 5606, per il reato-mezzo di TRUFFA ex art. 640, comma 1, c.p. e per il reato-fine di USURA ex art. 644, c.p. si possono fare le seguenti considerazioni generali:
- È compito dei BANCARI latu sensu degli ORGANI APICALI di vigilare e impedire che le PROCEDURE INTERNE consentano che nei finanziamenti rateali sia utilizzato il PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO in violazione dell’art. 821, comma 3, c.c. che proibisce l’ANATOCISMO di tipo GENETICO e, se questo non succede, vi è conseguente responsabilità penale concorrente. Il concorso nel reato sussiste anche nell’eventualità in cui lo STATUTO preveda la precisa incombenza dell’erogazione del credito, che comporta la determinazione delle relative condizioni contrattuali e dei tassi d’interesse,ad altri soggetti di ORGANI GESTIONALI SOTTORDINATI perché, in tale caso, è ravvisabile “in capo al PRESIDENTE o al CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE un potere di controllo gestionale sull’attività della DIREZIONE GENERALE o CENTRALE COMMERCIALE”;
- I BANCARI latu sensu degli ORGANI APICALI non possono invocare l’inevitabilità dell’errore sulla legge penale ex art. 5 c.p. perché, esistendo una POSIZIONE DI GARANZIA che consente di individuare negli stessi i garanti primari della corretta osservanza degli interessi protetti sia dal reato di TRUFFA sia dal reato di USURA, da una parte, non sussiste un errore riferibile al calcolo degli INTERESSI CORRISPETTIVI se si utilizza l’illecito PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO al posto del lecito PRINCIPIO DI EQUITÀ con impostazione iniziale in t_0 o con impostazione finale in t_m del REGIME SEMPLICE ex art. 821, comma 3, c.c. che utilizza la ponderazione dei periodi rateali dell’ANNO CIVILE “CORRETTO” in quanto la sussistenza dell’ANATOCISMO conseguente all’impiego del PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME ESPONENZIALE è una questione matematica che “oltre ad essere nota all’ambiente bancario, non presenta in sé particolari difficoltà” di interpretazione e, dall’altra, in merito alla verifica dell’USURARIETÀ del contratto strettamente connessa al TASSO CORRISPETTIVO che non tiene conto dei COSTI inerenti alla FASE PATOLOGICA del negozio giuridico, non sussiste un errore riferibile al calcolo degli INTERESSI CORRISPETTIVI ATTUALIZZATI da inserire come COSTO EFFETTIVO in t_0 nell’obbligatoria formula del PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME ANATOCISTICO imposta dai burocrati della Banca d’Italia in quanto tale conteggio è una questione matematica che “oltre ad essere nota all’ambiente bancario, non presenta in sé particolari difficoltà” di interpretazione;
- I BANCARI latu sensu degli ORGANI APICALI non possono invocare l’inevitabilità dell’errore sulla legge penale ex art. 5 c.p. perché, esistendo una POSIZIONE DI GARANZIA che consente di individuare negli stessi i garanti primari della corretta osservanza degli interessi protetti sia dal reato di TRUFFA sia dal reato di USURA, da una parte, è fuori discussione la loro consapevolezza che l’importo del COSTO EFFETTIVO inerente alla SOLO FASE PATOLOGICA è calcolato con l’illegale RATA individuata con il vietato PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO anziché con la legale RATA specificata con il lecito PRINCIPIO DI EQUITÀ con impostazione iniziale in t_0 o con impostazione finale in t_m del REGIME SEMPLICE che usa la ponderazione dei periodi rateali dell’ANNO CIVILE “CORRETTO” e, pertanto, non sussistendo un errore riferibile al calcolo degli INTERESSI MORATORI e degli ONERI ASSIMILABILI contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo, il necessario rapporto matematico per la verifica dell’USURARIETÀ del contratto strettamente connessa al TASSO MORATORIO che non tiene conto dei COSTI inerenti alla FASE FISIOLOGICA del negozio giuridico è una questione matematica che “oltre ad essere nota all’ambiente bancario, non presenta in sé particolari difficoltà” di interpretazione e, dall’altra, è indubitabile che gli stessi hanno la consapevolezza che se il finanziato non pagherà la rata di rimborso incasseranno effettivamente ulteriori truffaldini INTERESSI CORRISPETTIVI “mascherati” perché calcolati con il TASSO MORATORIO e con gli ONERI ASSIMILABILI contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo e, pertanto, non sussiste un errore riferibile a questo calcolo in quanto è una questione matematica che “oltre ad essere nota all’ambiente bancario, non presenta in sé particolari difficoltà” di interpretazione;
- I BANCARI latu sensu degli ORGANI APICALI non possono invocare l’inevitabilità dell’errore sulla legge penale ex art. 5 c.p. in relazione al delitto di TRUFFA ex art. 640 c.p. connessa al TASSO CORRISPETTIVO sia perché tale disposizione non è “una norma penale in bianco il cui precetto è destinato ad essere completato da un elemento esterno, che completa la fattispecie incriminatrice” [4] come il reato di USURA e, quindi, non può sussistere la scusabilità dell’ignoranza e l’inevitabilità dell’errore originato da un “comportamento positivo” della Banca d’Italia, sia perché non esiste alcun orientamento GIURISPRUDENZIALE DI LEGITTIMITÀ CIVILE o PENALE che affermi che non esiste il delitto ex art. 640 c.p. se si utilizza il PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO in violazione dell’art. 821, comma 3, c.c. che proibisce l’ANATOCISMO di tipo GENETICO sia perché il contrastante orientamento GIURISPRUDENZIALE DI MERITO CIVILE è stato determinato dal doloso atteggiamento processuale degli intermediari che agiscono o resistono nei giudizi civili richiedendo la condanna per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. per ANATOCISMO inesistente nel PDA FRANCESE. Conseguentemente, da una parte, non può sussistere per questi soggetti una possibile “incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa” ma, al contrario, vi è sempre una CONSAPEVOLEZZA INTENZIONALE dell’illiceità del fatto che costituisce reato di TRUFFA e, dall’altra, può essere contestato il c.d. concorso morale nel reato di TRUFFA ai tecnici e ai dirigenti dell’Istituto di Vigilanza ogniqualvolta si riscontri effettivamente nel rapporto fra gli intermediari e i clienti l’uso del PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME ANATOCISTICO per la determinazione della rata di un finanziamento rateale per aver predisposto e pubblicato in G.U. GUIDA che rafforzano e facilitano il proposito criminoso;
- I BANCARI latu sensu degli ORGANI APICALI non possono invocare l’inevitabilità dell’errore sulla legge penale ex art. 5 c.p. in relazione al delitto di TRUFFA ex art. 640 c.p. connessa al TASSO MORATORIO e agli ONERI ASSIMILABILI contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo sia perché tale disposizione non è “una norma penale in bianco il cui precetto è destinato ad essere completato da un elemento esterno, che completa la fattispecie incriminatrice” come il reato di USURA e, quindi, non può sussistere la scusabilità dell’ignoranza e l’inevitabilità dell’errore originato da un “comportamento positivo” della Banca d’Italia, sia perché non esiste alcun orientamento GIURISPRUDENZIALE DI LEGITTIMITÀ CIVILE o PENALE che affermi che non esiste il delitto ex art. 640 c.p. se l’importo del COSTO EFFETTIVO inerente alla SOLO FASE PATOLOGICA è calcolato con l’illegale RATA individuata con il vietato PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO anzichécon la legale RATA specificata con il lecito PRINCIPIO DI EQUITÀ con impostazione iniziale in t_0 o con impostazione finale in t_m del REGIME SEMPLICE che usa la ponderazione dei periodi rateali dell’ANNO CIVILE “CORRETTO”. Conseguentemente, non può sussistere per questi soggetti una possibile “incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa” ma, al contrario, vi è sempre una CONSAPEVOLEZZA INTENZIONALE dell’illiceità del fatto che costituisce reato di TRUFFA;
- I BANCARI latu sensu degli ORGANI APICALI non possono invocare l’inevitabilità dell’errore sulla legge penale ex art. 5 c.p. in relazione al delitto di USURA ex art. 644 c.p. per la verifica dell’USURARIETÀ del contratto strettamente connessa al TASSO CORRISPETTIVO che non tiene conto dei COSTI inerenti alla FASE PATOLOGICA del negozio giuridico sia perché non esiste un “comportamento positivo” della Banca d’Italia che per i FINANZIAMENTI RATEALI ha escluso espressamente dal calcolo del TEG l’importo dell’ANATOCISMO PRIMARIO e SECONDARIO del TASSO CORRISPETTIVO conseguente all’impiego dell’illecito PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO sia perché non esiste alcun orientamento GIURISPRUDENZIALE DI LEGITTIMITÀ CIVILE o PENALE che affermi che il controllo dell’USURARIETÀ del contratto debba essere effettuato senza tenere conto dell’importo dell’ANATOCISMO PRIMARIO e SECONDARIO del TASSO CORRISPETTIVO vietato dall’ dell’art. 821, comma 3, c.c.. Conseguentemente, non può sussistere per questi soggetti una possibile “incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa” ma, al contrario, vi è sempre una CONSAPEVOLEZZA INTENZIONALE dell’illiceità del fatto che costituisce reato di USURA;
- I BANCARI latu sensu degli ORGANI APICALI non possono invocare l’inevitabilità dell’errore sulla legge penale ex art. 5 c.p. in relazione al delitto di USURA ex art. 644 c.p. per la verifica dell’USURARIETÀ del contratto strettamente connessa al TASSO MORATORIO che non tiene conto dei COSTI inerenti alla FASE FISIOLOGICA del negozio giuridico anche se c’è un “comportamento positivo” della Banca d’Italia che ha escluso espressamente dal calcolo del TEG “gli INTERESSI DI MORA e gli ONERI ASSIMILABILI contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo” in quanto sussiste sia l’art. 1, comma 1, della Legge del 28/02/2001 n. 24 di conversione del D.L. del 29/12/2000 n. 394 ha stabilito che “Ai fini dell’applicazione dell’art. 644 del codice penale e dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento” sia la successiva sentenza della Corte Cost. del 25/02/2002 n. 29 che ha affermato che “va in ogni caso osservato – ed il rilievo appare in sé decisivo – che il riferimento contenuto all’art. 1,1° comma, del decreto-legge n. 394 del 2000 agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il TASSO SOGLIA riguarderebbe anche gli INTERESSI MORATORI” sia un indirizzo giurisprudenziale consolidato [5] della Corte di Cassazione Civile le cui più note sentenze sono quelle del 09/01/2013 n. 350 [6] che ha stabilito nella motivazione che “… (…) … ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p., e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di INTERESSI MORATORI (Corte Cost. 25 febbraio 2002 n. 29: “il riferimento, contenuto nel D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli INTERESSI MORATORI”; Cass. n. 5324/2003)”, del 06/03/2017 n. 5598 che ha precisato che “è noto che in tema di contratto di MUTUO, la L. n. 108 del 1996, art. 1, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli INTERESSI CORRISPETTIVI che quelli MORATORI (Cass. 4 aprile 2003, n. 5324)”, del 04/10/2017 n. 23192 che ha decretato che “è noto che in tema di contratto di mutuo, la L. n. 108 del 1996, art. 1, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (Cass. 4 aprile 2003, n. 5324). Ha errato, allora, il tribunale nel ritenere in maniera apodittica che il tasso di soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perchè non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso” (Cass. ord. 5598/2017; con principio già affermato da Cass. 14899/2000)” e le Sezioni Unite del 18/09/2020 n. 19597 che hanno stabilito che il TASSO DI MORA “deve soggiacere ai limiti antiusura” che espressamente prevedono ex art. 644 c.p. la rilevanza degli INTERESSI DI MORA e degli ONERI ASSIMILABILI ai fini del controllo dell’USURARIETÀ. Conseguentemente, non può sussistere per questi soggetti una possibile “incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa” ma, al contrario, vi è sempre una CONSAPEVOLEZZA INTENZIONALE dell’illiceità del fatto che costituisce reato di USURA;
- Nella denegata ipotesi che i BANCARI latu sensu degli ORGANI APICALI possano essere considerati non responsabili penalmente in concorso del reato di TRUFFA connessa sia al solo TASSO CORRISPETTIVO sia al solo TASSO MORATORIO, occorre rilevare che non può essere messo in discussione sia la sussistenza del fatto reato sotto il PROFILO OGGETTIVO sia la sussistenza del fatto reato sotto il PROFILO SOGGETTIVO in capo ai BANCARI latu sensu SOTTOPOSTI che hanno concretamente partecipato alla determinazione delle condizioni contrattuali e dei tassi d’interesse “con riferimento ai singoli clienti”. Pertanto, in questa ricusata eventualità, l’AZIONE RISARCITORIA CIVILE può essere comunque espletata nei confronti degli intermediari che rispondono “ex art. 1118 e 1228 c.c., del fatto dei propri dipendenti” perché “emerge il ruolo preponderante svolto dalla corretta PROCEDURALIZZAZIONE di un’attività collettiva, comunque imputabile all’istituto. Su questa base la responsabilità della banca sussiste per il solo fatto che il danno ingiusto si è verificato per una condotta comunque alla stessa imputabile”. In definitiva, anche per la violazione dell’art. 640 c.p. sussiste una “situazione concreta, idonea a far ricadere sulla banca anche il rischio dei c.d. “DANNI ANONIMI”, cioè di cui non sia stato individuato il responsabile”;
- Nella denegata ipotesi che i BANCARI latu sensu degli ORGANI APICALI possano essere considerati non responsabili penalmente in concorso del reato di USURA per la verifica dell’USURARIETÀ del contratto strettamente connessa al TASSO CORRISPETTIVO che non tiene conto dei COSTI inerenti alla FASE PATOLOGICA del negozio giuridico, occorre rilevare che non può essere messo in discussione sia la sussistenza del fatto reato sotto il PROFILO OGGETTIVO sia la sussistenza del fatto reato sotto il PROFILO SOGGETTIVO in capo ai BANCARI latu sensu SOTTOPOSTI che hanno concretamente partecipato alla determinazione delle condizioni contrattuali e dei tassi d’interesse “con riferimento ai singoli clienti”. Pertanto, in questa ricusata eventualità, l’AZIONE RISARCITORIA CIVILE può essere comunque espletata nei confronti degli intermediari che rispondono “ex art. 1118 e 1228 c.c., del fatto dei propri dipendenti” perché “emerge il ruolo preponderante svolto dalla corretta PROCEDURALIZZAZIONE di un’attività collettiva, comunque imputabile all’istituto. Su questa base la responsabilità della banca sussiste per il solo fatto che il danno ingiusto si è verificato per una condotta comunque alla stessa imputabile”. In definitiva, per la violazione dell’art. 644 c.p. strettamente connessa al TASSO CORRISPETTIVO sussiste una “situazione concreta, idonea a far ricadere sulla banca anche il rischio dei c.d. “DANNI ANONIMI”, cioè di cui non sia stato individuato il responsabile”;
- Nella denegata ipotesi che i BANCARI latu sensu degli ORGANI APICALI possano essere considerati non responsabili penalmente in concorso del reato di USURA per la verifica dell’USURARIETÀ del contratto strettamente connessa al TASSO MORATORIO che non tiene conto dei COSTI inerenti alla FASE FISIOLOGICA del negozio giuridico, occorre rilevare che non può essere messo in discussione la sussistenza del fatto reato sotto il PROFILO OGGETTIVO. Pertanto, in questa eventualità, l’AZIONE RISARCITORIA CIVILE può essere comunque espletata nei confronti degli intermediari che rispondono “ex art. 1118 e 1228 c.c., del fatto dei propri dipendenti” perché “emerge il ruolo preponderante svolto dalla corretta PROCEDURALIZZAZIONE di un’attività collettiva, comunque imputabile all’istituto. Su questa base la responsabilità della banca sussiste per il solo fatto che il danno ingiusto si è verificato per una condotta comunque alla stessa imputabile”. In definitiva, per la violazione dell’art. 644 c.p. strettamente connessa al TASSO MORATORIO sussiste una “situazione concreta, idonea a far ricadere sulla banca anche il rischio dei c.d. “DANNI ANONIMI”, cioè di cui non sia stato individuato il responsabile”.
In realtà, la personale responsabilità penale concorrente degli AMMINISTRATORI BANCARI latu sensu per il reato di USURA ex art. 644 non può essere esclusa perché sussiste l’aggravante SOGGETTIVA della connessione ex art. 61, numero 2, c.p. con il reato-mezzo di TRUFFA ex art. 640, comma 1, c.p., cioè esiste l’aggravante che si configura per “aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato” [7].
Quanto ai BANCARI latu sensu degli ORGANI GESTIONALI SOTTORDINATI che sono investiti dallo STATUTO o da una DELEGA DI FUNZIONI della precisa incombenza dell’erogazione del credito che comporta la loro autonoma determinazione delle relative condizioni contrattuali e dei tassi d’interesse del contratto di finanziamento rateale senza essere direttamente in contatto con il finanziato perché, questo preciso compito, è attribuito ai BANCARI latu sensu ADDETTI ALLA RETE DI VENDITA, occorre ricordare che “in tema di truffa, il profitto ingiusto non deve necessariamente essere conseguito dal soggetto che pone in essere la condotta fraudolenta, atteso che la norma esige soltanto il nesso causale tra tale condotta e il profitto, restando indifferente che sia un terzo – consapevole – a trarre il beneficio illecito dal raggiro, e fatta salva comunque l’ipotesi di CONCORSO NEL REATO, in forza del quale gli atti dei singoli sono considerati nel contempo loro propri e comuni anche agli altri compartecipi”(sentenza della Cass. Pen. Sez. II del 17/10/2000 n. 13501). Conseguentemente, i dipendenti dell’intermediario che hanno determinato le condizioni contrattuali connesse al TASSO CORRISPETTIVO hanno una loro personale responsabilità penale in concorso sia per il reato-mezzo di TRUFFA ex art. 640, comma 1, c.p. sia per il reato-fine di USURA ex art. 644, c.p. perché l’autonoma previsione del CONTRATTO STANDARDIZZATO che impone l’utilizzo dell’illecito PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO per tutti i finanziamenti rateali erogati dall’intermediario in un certo periodo di tempo, dimostra la CONSAPEVOLEZZA oltre che della completa rappresentazione dei fatti che costituiscono i due reati, anche dell’aggravante della connessione ex art. 61, numero 2, c.p.. Infatti, non può essere messo in discussione che la STANDARDIZZAZIONE dei CONTRATTI di finanziamento rateale è un elemento aggravante della machinatio posta in essere da questi soggetti sia perché la normalizzazione dei patti contrattuali non lascia spazio di manovra per eventuali modifiche delle condizioni contrattuali da parte dei singoli finanziati nel periodo di “vigenza” di quello specifico contratto uniformato sia perché la tipizzazione delle convenzioni con l’illecito PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO garantisce ulteriormente che si possa realizzare certamente l’impunità del reato-fine di USURA con l’incasso del suo profitto usuraio strettamente connesso al TASSO CORRISPETTIVO. In particolare, per valutare la responsabilità penale di questi soggetti, l’interprete non deve assolutamente prescindere dai principi generali, di fonte COSTITUZIONALE (CENTRALITÀ DELLA PERSONA, BUONAFEDE/SOLIDARIETÀ, UTILITÀ SOCIALE, etc.), che, per quanto disposto dall’art. 1374 c.c., costituiscono anche parte integrante di qualsiasi contenuto contrattuale. Non solo, nella materia dei rapporti bancari, ove si configura un contratto “imposto” (sia nell’espressione tipica del contratto di consumo sia in quella atipica di “terzo contratto”), non può prescindersi, in preliminare sede interpretativa, dall’applicazione del c.d. principio di buonafede in senso oggettivo (rectius: correttezza), come statuito anche dal disposto dell’art. 1366 c.c. (“il contratto deve essere eseguito secondo buonafede”), nel senso che l’interprete deve tendere, proprio perché in presenza di un contratto con posizioni sperequate, all’“equo contemperamento degli interessi delle parti” (così come previsto dall’art. 1371 c.c.). Va aggiunto, quale altro imprescindibile principio interpretativo dell’attività negoziale inter vivos, il c.d. criterio dell’affidamento, cioè l’esigenza di considerare la manifestazione negoziale non nel significato ad essa attribuita dal suo autore (come correttamente avviene nell’interpretazione della sola volontà testamentaria) bensì nel significato che ad essa riconosce il destinatario della stessa: è di tutta evidenza che l’applicazione del principio di affidamento impone una ben più attenta valutazione, appunto in sede interpretativa, delle clausole contrattuali (già unilateralmente predisposte dai BANCARI latu sensu quale contraente forte) che il consumatore-cliente è indotto a sottoscrivere nell’ambito dei rapporti bancari.
In merito alla verifica dell’USURARIETÀ del contratto strettamente connessa al TASSO MORATORIO che non tiene conto dei COSTI inerenti alla FASE FISIOLOGICA del negozio giuridico, i BANCARI latu sensu degli ORGANI GESTIONALI SOTTORDINATI hanno la contezza che l’importo del COSTO EFFETTIVO inerente alla SOLO FASE PATOLOGICA è calcolato con l’illegale RATA individuata con il vietato PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO anziché con la legale RATA specificata con il lecito PRINCIPIO DI EQUITÀ con impostazione iniziale in t_0 o con impostazione finale in t_m del REGIME SEMPLICE che usa la ponderazione dei periodi rateali dell’ANNO CIVILE “CORRETTO”, sono consapevoli del necessario rapporto matematico per il calcolo dell’USURARIETÀ del contratto e sono edotti che l’autonoma clausola del CONTRATTO STANDARDIZZATO che stabilisce la percentuale del TASSO DI MORA, la percentuale degli ONERI ASSIMILABILI previsti per il caso di inadempimento di un obbligo e la modalità di conteggio degli stessi determina l’incasso di ulteriori truffaldini INTERESSI CORRISPETTIVI “mascherati”.
[1] Preliminarmente, con riferimento al principio di legalità confermato dall’art. 2 del D.Lgs. 231/2001, costituiscono “reati 231” solo le fattispecie espressamente elencate dal legislatore (principio del numerus clausus dei reati): i delitti previsti nel testo normativo hanno subito nel tempo un progressivo ampliamento. Sin dalla versione originaria in G.U., è stato fissato l’art. 24 rubricato “Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico” che stabilisce che “1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 316-bis, 316-ter, 640, comma 2, n. 1, 640-bis e 640-ter se commesso in danno dello Stato o di altro ente pubblico, del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote. 2. Se, in seguito alla commissione dei delitti di cui al comma 1, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità o è derivato un danno di particolare gravità; si applica la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote. 3. Nei casi previsti dai commi precedenti, si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e)”. Pertanto, nell’ambito dei reati presupposto del D.Lgs. 231/2001, è esclusa la TRUFFA “GENERICA” ex art. 640, comma 1, c.p. come sono esclusi sia il reato di ESTORSIONE ex art. 629 c.p. sia il delitto di USURA ex art. 640 c.p. e, quindi, non è certa per questi reati la sussistenza di una DELEGA DI POTERI a specifici BANCARI latu sensu. Malgrado le esclusioni dal D.Lgs. 231/2001 della TRUFFA “GENERICA”, dell’ESTORSIONE e dell’USURA, l’obbligatorio MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO dell’intermediario che ha concesso il finanziamento rateale consente comunque di conoscere come si è strutturata una banca o una società finanziaria e, conseguentemente, permette di sapere chi sono i soggetti in posizione apicale ed i loro stretti sottoposti, chi sono i soggetti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento del modello organizzativo e quali sono i soggetti sottoposti all’altrui direzione, cioè i lavoratori subordinati e i lavoratori parasubordinati. Inoltre, tali modelli organizzativi che generalmente sono pubblicizzati in documenti pubblicati sui siti istituzionali degli intermediari, prevedono la determinazione di obbligatori MANUALI DI PROCEDURE INTERNE che tutti i BANCARI latu sensu devono rispettare. Spesso, nel documento pubblicizzato vi sono indicazioni dell’intermediario su come i destinatari interni si debbono relazionare con i clienti: si legge in quello di UNICREDIT SPA che i rapporti con la clientela da parte del personale interno “devono essere improntati a criteri di onestà, cortesia, trasparenza e collaborazione, fornendo informazioni adeguate e complete e veritiere”, che i soggetti addetti ai rapporti con i clienti “devono curare che vengano rispettate tutte le NORME in tema di CORRETTEZZA, ADEGUATEZZA e TRASPARENZA nella prestazione di servizi di investimento e accessori” e che tutti “i soggetti appartenenti ad UniCredit S.p.A. sono tenuti ad esercitare la propria attività nel pieno rispetto della NORMATIVA VIGENTE emanata dalle competenti Autorità”.
[2] Le motivazioni della sentenza della Cass. Civ. del 26/02/2019 n. 5606 hanno stabilito che “La giurisprudenza di questa Corte regolatrice ha affermato da tempo (ex plurimis, Cass. Sez. U 30/09/2009, n. 20933) che il COMPONENTE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE, chiamato a rispondere per omissione di vigilanza, non può esimersi da responsabilità adducendo che le operazioni integranti l’illecito sarebbero state realizzate da altro soggetto, dotato di ampia autonomia. Più specificamente, Cassazione n. 2737 del 2013 ha enucleato il principio secondo il quale il dovere di agire informati dei CONSIGLIERI NON ESECUTIVI DELLE SOCIETÀ BANCARIE, sancito dall’art. 2381 c.c., commi 3 e 6, e art. 2392 c.c., non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacché anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business (bancario) e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi. Proseguendo nella medesima prospettiva, Cassazione n. 22848 del 2015 ha precisato che gli amministratori privi di deleghe sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei requisiti di professionalità, ad ostacolare l’evento dannoso, sicché rispondono del mancato utile attivarsi e, stante la presunzione di colpa, è sufficiente a tal fine che l’Autorità di vigilanza dimostri l’esistenza dei segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre gli amministratori non esecutivi, rimasti inerti, ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo, spettando a questi ultimi di provare di essersi attivati”.
[3] Si legge inoltre nella massima della sentenza della Cass. Civ. Sez. II del 18/04/2018 n. 9546 che “Questa interpretazione non vale ad accollare una responsabilità oggettiva agli amministratori non esecutivi, essendo gli stessi perseguibili ove ricorrano comunque sia la condotta d’inerzia, sia il fatto pregiudizievole antidoveroso, sia il nesso causale tra i medesimi, sia, appunto, la colpa, consistente nel non aver rilevato colposamente i segnali dell’altrui illecita gestione, pur percepibili con la diligenza della carica (anche indipendentemente dalle informazioni doverose ex art. 2381 c.c.), e nel non essersi utilmente attivati al fine di evitare l’evento. Sotto il profilo probatorio, ciò comporta che spetta al soggetto il quale afferma la responsabilità allegare e provare, a fronte dell’inerzia dei consiglieri non delegati, l’esistenza di segnali d’allarme (anche impliciti nelle anomale condotte gestorie) che avrebbero dovuto indurli ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo; assolto tale onere è, per contro, onere degli amministratori provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o la causa esterna, che abbia reso non percepibili quei segnali o impossibile qualsiasi condotta attiva mirante a scongiurare il danno. Per quanto specificatamente attiene ai consiglieri non esecutivi di società bancaria, l’art. 53, lett. b) e d) T.U.B., prevede che la Banca d’Italia emani disposizioni di carattere generale aventi ad oggetto, tra l’altro, il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni e il governo societario, l’organizzazione amministrativa e contabile, nonché i controlli interni e i sistemi di remunerazione e di incentivazione. Le disposizioni attuative sono state quindi dettate con le Istruzioni di vigilanza per le banche, mediante la circolare 21 aprile 1999 n. 229, e le successive modificazioni e integrazioni, le quali sanciscono doveri di particolare pregnanza in capo all’intero consiglio di amministrazione di azienda bancaria (e quindi anche dei consiglieri non esecutivi), che si incentrano, per l’intero organo collegiale, proprio in quel compito di monitoraggio e valutazione della struttura operativa”.
[4] Si legge nella sentenza della Cass. Pen. Sez. II del 23/11/2011 n. 46669 che “La norma di cui all’art. 644 c.p. configura una norma penale in bianco il cui precetto è destinato ad essere completato da un elemento esterno, che completa la fattispecie incriminatrice giacché rinvia, al fine di adeguare gli obblighi di legge alla determinazione del tasso soglia ad una fonte diversa da quella penale, con carattere di temporaneità, con la conseguenza che la punibilità della condotta non dipende dalla normativa vigente al momento in cui viene emessa la decisione, ma dal momento in cui avviene l’accertamento, con esclusione dell’applicabilità del PRINCIPIO DI RETROATTIVITÀ DELLA LEGGE PIÙ FAVOREVOLE. (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 43829 del 16/10/2007 Ud. (dep. 26/11/2007) Rv. 238262; Sez. 1, Sentenza n 19107 del 16/05/2006 Ud. (dep. 30/05/2006) Rv. 234217 Sez. 3^, 22 febbraio 2000 n. 3905, rv. 215952; Sez. 3^, 23 aprile 1986 n. 5231, rv. 173042)”.
[5] Ci si riferisce alla sentenza di Cass. del 22/04/2000 n. 5286 che ha stabilito che “L’usurarietà del superamento del “tasso soglia” di cui alla l. 7 marzo 1996 n. 108 vale anche per le clausole concernenti gli interessi moratori”, alla sentenza di Cass. del 04/04/2003 n. 5324 che ha sancito che “In tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della legge n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che gli interessi moratori” e alla sentenza di Cass. del 11/01/2013 n. 603 che ha precisato che “gli interessi corrispettivi e moratori ulteriormente maturati vanno considerati usurari”.
[6] La decisione n. 350/2013 è relativa a una fattispecie concreta che per intero si è sviluppata sotto l’ombrello della Legge n. 108/1996.
[7] Si evidenzia che l’aggravante della connessione ex art. 61, numero 2, c.p. in capo agli AMMINISTRATORI BANCARI latu sensu e, quindi, la loro personale responsabilità penale in concorso per il reato di TRUFFA ex art. 640, comma 1, c.p., non può essere esclusa per i seguenti motivi: 1) In conseguenza della POSIZIONE DI GARANZIA che consente di individuare nei BANCARI latu sensu degli ORGANI APICALI i garanti primari della corretta osservanza degli interessi protetti sia del reato di TRUFFA che del delitto di USURA e in considerazione che è indiscutibile che gli stessi non abbiano la consapevolezza che “l’unicità dell’Azione realizzatrice del reato-mezzo e del reato-fine” si concreta al momento della conclusione del CONTRATTO di finanziamento rateale che sancisce temporalmente la contestualità delle condotte criminose, è indubitabile che gli AMMINISTRATORI BANCARI latu sensu non abbiano completa rappresentazione dei fatti che costituiscono i due reati, cioè i delitti autonomi di TENTATA e CONSUMATA TRUFFA per la previsione pattizia dell’applicazione del PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME COMPOSTO in violazione dell’art. 821, comma 3, c.c. che proibisce l’ANATOCISMO di tipo GENETICO e la CONSUMAZIONE del delitto di USURA nella forma “PRESUNTA” ex art. 644, comma 3, primo periodo, c.p. o nella forma in “CONCRETO” ex art. 644, comma 3, secondo periodo, c.p. in quanto l’importo dell’ANATOCISMO PRIMARIO e SECONDARIO del TASSO CORRISPETTIVO è un COSTO EFFETTIVO illecito ex art. 644, comma 4, c.p.. Infatti, è fuori discussione che il loro c.d. momento volitivo sia intenzionalmente orientato alla commissione di entrambi i delitti perché, normalmente, solo se si occulta il reato-mezzo di TRUFFA si raggiunge lo scopo non solo dell’impunità del reato-fine di USURA ma anche dell’incasso del suo profitto usuraio: pertanto, se non si tiene in considerazione del quantitativo della TENTATA TRUFFA ATTUALIZZATA, importo da inserire come COSTO EFFETTIVO in t_0 nell’obbligatoria formula del PRINCIPIO DI EQUITÀ del REGIME ANATOCISTICO imposta dai burocrati della Banca d’Italia, normalmente non si configura la CONSUMAZIONE del delitto di USURA nella forma “PRESUNTA” o nella forma in “CONCRETO”; 2) La conoscenza dell’aggravante da parte dei BANCARI latu sensu degli ORGANI APICALI e, quindi, la conseguente CONSAPEVOLEZZA che, normalmente, solo se si occulta il reato-mezzo di TRUFFA si raggiunge lo scopo dell’impunità del reato-fine di USURA e l’incasso del suo profitto usuraio, ha una prova oggettiva incontestabile nel maggiore vantaggio economico dell’intermediario. Infatti, la sanzione del solo reato-mezzo di TRUFFA per violazione dell’art. 821, comma 3, c.c. con dolo incidens del deceptor comporta per il deceptus un DIRITTO RISARCITORIO limitato all’importo dell’ANATOCISMO PRIMARIO e SECONDARIO degli interessi corrispettivi truffati, mentre la sanzione della commissione contemporanea del reato-mezzo di TRUFFA e del reato-fine di USURA determina la gratuità ex art. 1815, comma 2, c.c. del prestito rateale e, pertanto, il finanziato ha un più ampio DIRITTO RISARCITORIO che riguarda sia l’importo complessivo degli INTERESSI pagati e/o da pagare sia il totale generale di tutti gli altri ONERI risultanti dal contratto corrisposti; 3) Un’ulteriore conferma della “piena consapevolezza della contemporanea aggressione a due distinti beni penalmente tutelati e del coordinamento teleologico dell’uno all’altro illecito” da parte dei BANCARI latu sensu degli ORGANI APICALI è la non vigilanza e il non impedimento del doloso atteggiamento processuale autorizzato dai BANCARI latu sensu degli UFFICI LEGALI di agire o resistere nei giudizi civili sostenendo l’ANATOCISMO inesistente nel PDA FRANCESE, anche con richiesta di condanna del finanziato attore per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.: questa circostanza fattuale conferma la loro volontà di occultare il reato-mezzo di TRUFFA per “assicurare a sé o ad altri” l’impunità e il profitto del reato-fine di USURA.